L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

domenica 30 novembre 2008

Consiglio Europa; pene alternative = meno recidiva


Ansa, 29 novembre 2008

Sovraffollamento delle carceri e recidiva: sono due problemi che quasi tutti i 47 paesi membri del Consiglio d’Europa devono affrontare. Una valida soluzione - secondo l’istituzione europea - è la probation, cioè quell’insieme di misure alternative alla detenzione.

Del sistema basato sulla ricerca di alternative al carcere discutono a Strasburgo, fino a domani, i direttori dei servizi di probation degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Scopo della Conferenza è di elaborare gli standard utili a guidare le autorità nell’implementazione di questo tipo di soluzione.

Santi Consolo, vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana, sottolinea che nell’usare la probation tutti i paesi devono necessariamente risolvere due problemi. Il primo riguarda la necessità di conoscere la persona che dovrebbe beneficiare di questa soluzione. A questo fine, Consolo afferma che è necessaria la collaborazione tra i paesi e che ogni paese deve essere in grado di fornire in modo tempestivo le informazioni sui suoi cittadini che abbiano commesso un reato in un paese terzo. L’altro problema, dice Consoli, sta nel monitorare la bontà delle soluzioni adottate.

venerdì 28 novembre 2008

Carcere: Ionta (Dap); l'affollamento delle carceri è fisiologico

Redattore Sociale - Dire, 28 novembre 2008

Il capo del Dap parla di sovraffollamento e riorganizzazione dei servizi durante il 41° Convegno nazionale del volontariato penitenziario. Interviene anche il sottosegretario Caliendo "La giustizia minorile sarà assorbita dal Dap".

"Il carcere non è così immobile come sembra, molte cose sono cambiate negli ultimi anni ed è comunque sbagliato vedere l’istituzione carceraria come separata dal resto del mondo. Il carcere è un pezzo di mondo e ben venga l’attività del volontariato, ma stiamo attenti a vederlo come una palude". Con queste parole il capo del Dap, Franco Ionta, ha risposto alla relazione con cui la dottoressa Elisabetta Laganà, presidente del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario, ha introdotto oggi il 41° Convegno nazionale, dedicato al tema "i diritti dei detenuti e la Costituzione". Il nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha contestato alla presidente del Coordinamento del volontariato una impostazione troppo "depressiva" della questione, troppo statica. La dottoressa Laganà gli ha risposto che la sua relazione - piena di denunce sulla violazione dei diritti dei carcerati - non era affatto depressiva. "Caso mai mi sento disillusa", ha detto Laganà nel batti e risposta con Ionta, il quale a sua volta ha replicato: "Attenzione, la disillusione può essere più rischiosa della depressione, male che comunque si può curare".

Ma a parte lo scambio cortesemente polemico tra i due, dal convegno di oggi è emerso un quadro abbastanza preoccupante del carcere. In ballo ci sono infatti di nuovo questioni scottanti, da emergenza, prima tra tutte il livello di sovraffollamento. Ma anche su questo Ionta ha detto che ormai bisognerà farsene una ragione. "Il livello fisiologico della presenze in carcere in un paese come l’Italia si attesterà sulle 60-70 mila unità. Dobbiamo farcene una ragione e dobbiamo misurare tutta l’organizzazioni su questo dato ineludibile". Ovviamente, ha spiegato sempre Ionta, più si aumentano le pene e i reati e più inevitabilmente aumenteranno i detenuti. "Quindi più che auspicare una speranza un po’ vaga di cambiamento, è meglio fare riferimento alla categoria dell’impegno. E con impegno - ha concluso Ionta - io intendo sia quello delle istituzioni che lavorano per il detenuto, sia però anche quello del detenuto stesso che deve scegliere di uscire dalla sua condizione. E scegliere di uscire dal crimine, in una società come la nostra, oggi non è certo una impresa facile". Quello che è necessario fare intanto è avviare una serie ristrutturazione dei servizi. Molto c’è da fare. Il capo del Dap ha suggerito per esempio un ripensamento sul ruolo della polizia femminile. Anche i poliziotti penitenziari oggi in servizio presso gli istituti minorili quasi vuoti sono risorse sprecate, quando nelle carcere normali manca il personale.

Spunti polemici durante la prima giornata del 41° Convegno Seac sono venuti anche dalle questioni della detenzione alternativa al carcere e del possibile assorbimento (amministrativo) della giustizia minorile nella giustizia generale. È stato il sottosegretario Giacomo Caliendo a rispondere all’obiezione di un sacerdote impegnato in carcere come cappellano. "L’assorbimento della giustizia minorile - ha detto Caliendo - nel dipartimento è solo una questione amministrativa. Il personale che prima dipendeva da certi uffici, poi dipenderà da altri, ma questo non vuol dire che all’interno del Dap non venga conservata una specificità per i temi della devianza minorile".

Da parte sua il Coordinamento degli enti e delle associazioni del volontariato penitenziario ha ribadito che l’unica vera soluzione ai tanti mali del carcere e al nuovo sovraffollamento sta nelle misure alternative che abbassano la recidiva moltissimo. In un documento approvato anche dalla Conferenza stato regioni i volontari del carcere ribadiscono infatti che sarebbe necessario cominciare a spostare più risorse possibile sugli Uepe, ovvero le strutture della detenzione alternativa.


ROMA, 41° CONVEGNO NAZIONALE SEAC

ROMA, 41° CONVEGNO NAZIONALE SEAC

DIRITTI DEI DETENUTI Il convegno si propone di analizzare la rispondenza tra le norme penitenziarie ed i principi costituzionali del rispetto della dignità e della personalità del detenuto Si svolge a Roma dal 27 al 29 novembre 2008 il 41° Convegno Nazionale del SEAC ; Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, dal titolo “I diritti dei detenuti e la Costituzione;Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio della Regione Lazio e della Provincia di Roma e con il supporto di SPES ; Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio. Le tre giornate si svolgono presso la sala convegno dell'Istituto Suore Maria Bambina, in Via Paolo VI 21, e presso l’Istituto Rebibbia Nuovo Complesso.
Il convegno si propone di analizzare la rispondenza tra le norme penitenziarie ed i principi costituzionali del rispetto della dignità e della personalità del detenuto. Partendo dalla realtà organizzativa e operativa del carcere italiano ;Ordinamento Penitenziario, si approfondiscono le concrete testimonianze e le proposte operative provenienti dalle esperienze del volontariato della giustizia, dell'Amministrazione Penitenziaria, della magistratura e di tutti coloro che lavorano quotidianamente su questi temi. Le giornate si articolano in diversi momenti di riflessione, incentrati sui diritti dei detenuti, la Costituzione, il quadro di riferimento europeo, il regime speciale 41 bis, gli incontri con i detenuti (presso l'Istituto Rebibbia Nuovo Complesso), i diritti dei minori sottoposti a provvedimenti penali.
Parteciperanno: Elisabetta Laganà (Presidente SEAC), Piero Marrazzo (Presidente Regione Lazio), Mauro Rivella (Sottosegretario Conferenza Episcopale Italiana), Giacomo Caliendo (Sottosegretario Ministero Giustizia), Franco Ionta (Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Giuseppe La Greca (Avvocato, già Magistrato), Giovanni Maria Flick (Presidente Corte Costituzionale), Federico Lombardi (Direttore della Sala Stampa della Santa Sede), Francesco Maisto (Presidente Tribunale di Sorveglianza di Bologna), Valerio Onida (Docente Universitario, Presidente Emerito Corte Costituzionale), Franco Della Casa (Docente Diritto Processuale Penale Università di Genova), Giovanni Conso (Presidente Accademia dei Lincei), Angelo Zaccagnino (Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Lazio), Sebastiano Ardita (Direttore Ufficio detenuti e trattamento DAP), Maurizio Mazzi (Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Veneto), Anna Muschitiello (Coordinamento nazionale Assistenti Sociali Giustizia).Mauro Palma (Presidente Comitato Europeo Prevenzione Tortura), Giovanni Maria Pavarin (Magistrato di Sorveglianza, Padova), Marco Ruotolo (Docente di Diritto Costituzionale, Uniroma 3), Giacinto Siciliano (Direttore C.R.Milano Opera), Paolo Canevelli (Presidente Tribunale di Sorveglianza di Perugia), Carmelo Cantone (Direttore Rebibbia Nuovo Complesso), Angiolo Marroni (Garante Diritti Detenuti del Lazio), Sandro Spriano (Cappellano Rebibbia), Ettore Cannavera (Comunità di Serdiana - Cagliari), Antonio Pappalardo (Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d';Aosta e Liguria), Melita Cavallo (Magistrato Minorile), Isabella Mastropasqua (Dirigente Uff. Studi e Ricerche e attività internazionali), Serenella Pesarin (Direttore generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari), Avvocati, Educatori, Polizia Penitenziaria, Parlamentari delle Commissioni Giustizia Camera e Senato, detenuti e operatori. È stato invitato Angelino Alfano, Ministro della Giustizia.

sabato 22 novembre 2008

Giustizia: solo pene alternative sono una garanzia del riscatto


Avvenire, 22 novembre 2008

Il modo migliore per evitare che i delinquenti tornino al crimine una volta scontata la pena? Non tenerli in galera. Sì, perché il tasso di recidiva tra i condannati affidati ai servizi sociali, alle comunità terapeutiche o al lavoro esterno è meno di un terzo di quelli che invece restano in cella.

Ci ricascano due condannati su dieci, tra quelli che usufruiscono di programmi esterni. Ben sette su dieci invece gli ex carcerati che prima o poi ritornano dietro le sbarre. A certificarlo è il Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

La proposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano sulla messa in prova senza processo per gli incensurati ha riaperto il dibattito tra il partito del rigore e quello dell’umanizzazione. E a rivelare l’inefficacia del pugno di ferro - e la convenienza sociale oltre che economica di una giustizia più umana - è uno studio della Direzione generale esecuzione penale esterna.

Ad affermarlo è Giuseppe Capoccia, direttore dell’Ufficio studi e ricerche del Dap, al Consiglio Pastorale 2008 dei Cappellani delle carceri dedicato ai detenuti stranieri, appuntamento che ha visto l’intervento del capo del Dap Franco Ionta "I condannati a misure alternative - spiega Capoccia - hanno una recidiva di quasi il 20%, mentre tra chi la pena l’ha scontata in carcere sfiora il 70%, più del triplo".

Lo studio prende in esame gli anni tra 1998 e 2005, per verificare quanti, tra chi ha finito la pena 10 anni fa, sono tornati in galera E il dato del 20% sarebbe ancora più basso se ad alzare la media non fossero i condannati tossicomani, che hanno una recidiva più alta, pari al 40%, "comunque quasi la meta di chi fa il carcere", sottolinea Capoccia.

"Al di là di paure irrazionali, l’opinione pubblica dovrebbe capire che le forme alternative al carcere sono quelle che producono più sicurezza. È un discorso di numeri, non di filantropia". Altri Paesi l’hanno capito da tempo: se in Italia il rapporto tra condannati in carcere e quelli con pene alterative è uno a uno, in Gran Bretagna è uno a tre, circa 180 mila condannati che non stanno dietro le sbarre.

"Anche negli Usa sono milioni - spiega il direttore del Centro Studi - pur ricordando che il tasso di detenuti è di 700 ogni 100 mila abitanti, contro i 97 su 100 mila dell’Italia". Oltre alle resistenze culturali il nostro Paese ha un’altro problema legato all’altissimo numero di detenuti stranieri, che più difficilmente possono usufruire di forme alternative.

La media nazionale parla del 38% di detenuti stranieri, ma nel Centro-Nord i dati sono molto più alti: Roma circa 41%, Firenze 60%, Milano quasi 63%, Padova 82%. "Sono tanti perché l’accesso ai benefici e alle misure alternative è nettamente inferiore, i programmi di uscita e reinserimento prevedono un nucleo familiare".

Che gli stranieri raramente hanno. Quando poi la possibilità c’è, non viene utilizzata. Lo dice don Agostino Zenere, cappellano al S. Pio: "A Vicenza ci sono due strutture per le pene alternative dei detenuti ma restano vuote perché la magistratura di sorveglianza fatica a crederci, non vuole guai, è pressata dall’opinione pubblica e dalla politica. C’è un territorio e un terzo settore pronto, ma i magistrati si sentono condizionati".

Giustizia: l’Italia cambia idea, la criminalità non fa più paura

di Vladimiro Polchi

La Repubblica, 22 novembre 2008

Rapporto Demos: trascorse le elezioni, ecco le nuove angosce. I più insicuri? Le donne del Sud teledipendenti. Meno timori legati all’immigrazione.

La grande paura? Archiviata: oggi l’Italia sembra risvegliarsi da un incubo e sentirsi più sicura. Il nemico numero uno? Non più il criminale comune, bensì la crisi economica. Cambiano, infatti, le paure: più della malavita oggi si teme la disoccupazione. Non solo. Rispetto a un anno fa, cala la diffidenza verso gli immigrati. Cresce però la sicurezza fai da te: il 7% degli italiani ha già acquistato un’arma. Insomma, "se prima eravamo terrorizzati ? spiega il sociologo Ilvo Diamanti ? oggi siamo solo impauriti". Il merito? Della Tv.

Dopo aver fomentato l’allarme criminalità tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, oggi i Tg nazionali hanno ridotto spazio ed enfasi sull’emergenza sicurezza. A fotografare le nostre angosce è il secondo rapporto Demos, curato da Diamanti per la Fondazione Unipolis, in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia. Cosa emerge? Un Paese sostanzialmente cambiato.

Nel 2008 diminuisce il numero di italiani che ritiene cresciuta la criminalità: è l’81,6%, contro l’88% del 2007. Ci si sente dunque un po’ più sicuri, soprattutto, a casa propria. Meno del 40% degli intervistati percepisce infatti un aumento dei reati nella propria zona di residenza (un anno fa era più della metà e, a maggio scorso, oltre il 53%). Il timore più diffuso? Resta quello di subire un furto in casa (20,7% degli intervistati), seguito dalla paura di incappare in una truffa del bancomat o carta di credito (19%).

Crolla invece il timore di un’aggressione o rapina (13,4% nel novembre 2008, rispetto al 18,7% di un anno fa). Non solo. Sempre meno sono gli italiani che ritengono gli immigrati un pericolo (calati del 14% in un anno).

Ma chi ha più paura per la propria incolumità fisica? Le donne (43%), con un livello d’istruzione medio-basso (38%), residenti nel Mezzogiorno (41%) e teledipendenti (stanno davanti alla tv più di quattro ore al giorno). A essere più allarmati, poi, sono gli elettori del centrodestra, Udc e Italia dei Valori, meno quelli del Pd e della Sinistra Arcobaleno. Pur sentendosi più sicuri, otto italiani su dieci chiedono comunque più polizia per le strade. Resta poi la tentazione di difendersi da soli: il 7% ha già comprato un’arma, il 44% si è blindato in casa, il 35% ha stipulato un’assicurazione sulla vita.

La paura non solo diminuisce, ma cambia anche direzione. "La crisi economica - sostiene Diamanti - è stata in gran parte assorbita nel 2007, eppure ora la paura è pronta a ripartire su alcuni fronti". La disoccupazione, innanzitutto: oggi allarma il 34.4% degli italiani (erano il 29,6% un anno fa). La crisi delle borse e delle banche è invece una vera "new entry": preoccupa quasi il 39% del campione. In testa poi restano le "paure globali": distruzione dell’ambiente (58,5%), futuro dei figli (46,5%), sicurezza dei cibi (43%).

L’indagine Demos esplora anche altre paure-tipo. E così, il rischio di incorrere in un infortunio sul lavoro preoccupa "frequentemente" il 10,4% della popolazione (oltre il 20% degli operai). Aumenta poi il numero di quanti credono che la sicurezza in fabbrica sia diminuita (il 47%). E ancora: la paura di essere vittima di un incidente sulla strada accomuna tre intervistati su dieci. I più spavaldi? Proprio i soggetti più a rischio: giovani tra i 15 e i 24 anni. (Vedi la ricerca Demos-Unipolis - in pdf)

venerdì 21 novembre 2008

Carcere: non solo repressione, servono soluzioni coerenti



Il carcere visto da dentro, ma anche i problemi che restano una volta fuori. Sono questi alcuni dei temi affrontati nel corso del dibattito che si è svolto giovedì 20 novembre a Cassano Magnano. L’appuntamento si inserisce all’interno di una ciclo di serate culturali proposte dal Partito Democratico cassanese. Filo conduttore dei tre incontri – uno già avvenuto il 6 novembre e il terzo in programma il 2 dicembre – è il tema dell’accoglienza, legalità e recupero della dignità della persona.
Giovedì quindi, nella la Biblioteca comunale di via Ungaretti, si è parlato di carcere con Sergio Preite e Sabrina Gaiera (Agenti di rete della Casa Circondariale di Busto Arsizio) e Paola Saporiti (responsabile del progetto Cineforum nel carcere di Bollate) e il portavoce del Circolo Pd di Cassano Magnago, Mauro Zaffaroni.
I relatori hanno affrontato i temi della riabilitazione, ma anche della sicurezza e della transizione dal carcere alla società. «Quando parliamo di riabilitazione, un termine che però non mi piace molto, - spiega Sergio Preite di Enaip e Agente di rete-Consorzio solco Varese – ci riferiamo al lavoro, alla scuola, alla casa. Ma queste cose da sole non risolvono i problemi. Per chi esce c’è una grande solitudine, un isolamento sociale che si costruisce nel tempo». Secondo Preite, c’è poi una mancanza ancora più evidente. «Si parla tanto di un problema di sicurezza nella nostra società. Ma perché allora quando si fanno i “piani sicurezza” non si inseriscono anche le carceri? Un intervento riabilitativo ben riuscito durante la detenzione è un risultato già molto importante in questo senso. La repressione va bene, ma non basta». Ma qualcosa sta migliorando nel sistema penitenziario? «Si, stiamo andando a piccoli passi. Si fa fatica però a capire il percorso su cui si lavora: manca una coesione seria sulla iniziative a livello territoriale. Invece è necessaria la coerenza, solo così si può raggiungere il successo in questo campo. E il successo non ha nessun colore politico».

www.varesenews.it

mercoledì 19 novembre 2008

An e Lega frenano Alfano: "Nessuna amnistia in vista"

rainews.it

"Si rassegni chi immagina che ci saranno trappole su indulti o amnistie. La posizione del governo è chiara: non ne faremo". Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, al termine del Consiglio dei ministri che non ha approvato il ddl sulla certezza dell'applicazione della pena, si difende: non era all'ordine del giorno del Cdm di oggi. E comunque il principale punto delprovvedimento è dire "basta alla sospensione condizionale della pena gratis: chi ha fatto un danno alla società dovrà ripararlo lavorando obbligatoriamente, altrimenti niente condizionale e si fa il carcere per cui si è stati condannati". Sulla messa alla prova degli indagati, che è "un istituto completamente distinto", il ministro preannuncia "approfondimenti ", tenendo conto anche delle perplessità di Lega e An. La messa alla prova - fa notare però Alfano - è un istituto previsto da "un'ampia dottrina giuridica, dai lavori delle commissioni Nordio e Pisapia, e anche dal ddl sull'accelerazione del processo presentato da Mastella nella scorsa legislatura". Insomma, l'istituto è stato previsto anche da esponenti dell'oppiosizione.Nessuna bocciaturaDel ddl, aggiunge Alfano, "non si è discusso durante il Consiglio dei ministri di questa mattina. D'altronde non era neanche all'ordine del giorno". Il guardasigilli, tuttavia, ipotizza che possa essere preso in esame nel Cdm di venerdi' o in quello della prossima settimana. Ma Lega e An? "Con Maroni mi sono sentito anche ieri e l'altroieri. E il ministro dell'Interno,così come anche La Russa, è favorevole alla sospensione condizionale gratis della pena (viene infatti introdotto l'obbligo dei lavori di pubblica utilita', ndr).IdV: questa è un'amnisitia"Il Guardasigilli Alfano predica male e razzola peggio. Dopo aver votato a suo tempo per l'indulto, che ora critica, adesso vorrebbe far passare per legge un'amnistia perpetua", denuncia il presidente del gruppo Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario. "E' un bene che anche tra le fila del Governo ci sia qualche dubbio su questo provvedimento - sottolinea Belisario - ed è un bene che Alfano e colleghi riflettano con molta attenzione sulle sue conseguenze. Se si tratta di una sostituzione della condizionale è un conto, IdV invece non avallerà mai alcun tentativo di mercificare le condanne per reati minori, né in cambio di un lavorosocialmente utile né di altro". Alfano: non è questo il cuore del ddl"Sulla messa alla prova faremo degli approfondimenti rispetto alla proposta circolata (estinzione del reato dopo lavori di pubblica utilità per chi è accusato di reati punibili fino a quattro anni di carcere, ndr). La messa alla prova non è l'elemento centrale del provvedimento. E infatti - aggiunge il Guardasigilli - è cosa completamente distinta dalla questione principale e che abbiamo ritenuto potesse incontrare un ampio favore. Approfondiremo e capiremo se questo favore c'è e in che termini. Consiglierei agli esponenti dell'opposizione di dareun'occhiata ai propri ddl prima di parlare, altrimenti rischiano una brutta sorpresa".Il Pd: governo schizofrenicoPer Lanfranco Tenaglia, ministro della Giustizia del governo ombra del Pd, "continua l'azioneschizofrenica del governo in materia di giustizia e sicurezza. Da una parte si afferma di volere l'effettivita' e la certezza della pena, dall'altra si lavora perché ciò non avvenga per reatigravi. La proposta del ministro Alfano della messa in prova preventiva per reati puniti con pena massima fino a quattro anni - scrive in una nota - eviterà anche un solo giorno di cella a coloro che commetteranno gravi reati quali corruzione per un atto d'ufficio, abuso d'ufficio, falso inbilancio, truffe, furto, danneggiamenti ed altri reati odiosi per la sicurezza dei cittadini".
"In realtà, un legislatore accorto e avveduto non utilizzerebbe questo istituto con una finalità da colpo di spugna ma dovrebbe limitarne l'applicazione ai soli reati davvero minori e senzariflessi sulla sicurezza dei cittadini. Un limite di pena possibile e serio - conclude Tenaglia - sarebbe quello dei due anni".

Nel provvedimento del Guardasigilli la "messa in prova"

www.repubblica.it

Nel provvedimento del Guardasigilli la "messa in prova" per gli imputati. Altolà del ministro Roberto Maroni

Nel ddl Alfano quasi un'amnistia per condanne fino a quattro anni

di LIANA MILELLA

ROMA - Il Guardasigilli Alfano critica da sempre l'indulto, ma mette mano a un ddl sulla certezza della pena con una mezza amnistia per i reati fino a quattro anni. Rispolvera l'istituto pensato dal predecessore Mastella, la "messa in prova", ma raddoppia la massima pena prevista. Chi rischia un processo, prima che cominci (fino al rinvio a giudizio), può chiedere al giudice "d'essere messo alla prova" in cambio di un lavoro socialmente utile. Che alla fine cancellerà tutto, il processo e pure il reato. Peggio dell'indulto dunque, che almeno lascia traccia del delitto sulla fedina penale.

Di Pietro, che litigò con Mastella in piena riunione dei ministri (e così gli anni retrocessero da tre a due), denuncia il nuovo "colpo di spugna", una norma che "salva tutti gli incensurati". Il ddl, previsto già oggi a palazzo Chigi, incappa però nelle ire del titolare del Viminale Maroni che pone un secco altolà. Lo ha detto chiaro, a Berlusconi e Ghedini, nella cena di lunedì sera ad Arcore. Al delfino di Bossi non basta il contentino che Alfano, in un empito di federalismo, dà agli enti locali, comuni in testa, nella gestione dei lavori sostitutivi al carcere. Maroni riflette sulla lunghissima lista di reati, dalla corruzione semplice (punita fino a tre anni), ai falsi in bilancio, che rischiano d'essere lavati via senza un giorno di cella, o solo con la potatura d'un albero. E pure quelli sull'immigrazione.

Per Maroni poi le drastiche misure del ddl sicurezza si sposano male con la manica larga della messa in prova. Una contraddizione che il popolo leghista non capirebbe. L'Anm, con il presidente Luca Palamara, è cauta: "Siamo favorevoli alle misure alternative al carcere, noi stessi ne avevamo parlato con Alfano, ma con un paletto ben fermo, al massimo reati fino a tre anni".


Provvedimento bifronte, quello del Guardasigilli. Venduto, pure nella relazione che accompagna gli otto articoli, come un testo che garantisce "una volta per tutti" la certezza della pena e lega la sospensione condizionale all'obbligo dei lavori utili, ma che al contempo apre alla messa in prova. Un cavallo di troia, fuori la mano dura contro i benefici, dentro il permissivismo per chi delinque fino a quattro anni. Quando Mastella portò in consiglio la soglia dei tre anni Di Pietro parlò di "colpo di spugna su reati edilizi, ambientali, fiscali, gli incidenti sul lavoro". Si calò tra tre a due anni, ora si raddoppia.

Processi evitati per reati odiosi come frodi in commercio, manovre speculative, ma pure per un attentato ad impianti di pubblica utilità, per furti non aggravati, danneggiamenti, usura impropria, appropriazione indebita, omissione di soccorso, per finire alle violenze private. E dire che, nella relazione, si citano "reati di criminalità medio-piccola" per cui "l'esito della messa in prova estingue il reato". Cos'è, se non un'amnistia? A leggere il dibattito post indulto, il centrodestra l'avrebbe chiamata così.

Con un mano Alfano allarga, con l'altra inasprisce. Ecco la riforma della sospensione condizionale della pena che, oggi, non fa andare in carcere chi è alla prima grana giudiziaria. Il ddl prevede che, per fruirne, "il condannato assicuri un parziale ristoro alla collettività". Riecco il lavoro socialmente utile. Che diventerà obbligatorio anche per ottenere affidamento in prova e libertà controllata.

Messa in soffitta la strada del "piano carceri" con braccialetti elettronici ed espulsioni, Alfano sfoga l'incubo delle carceri piene (a marzo 2009 oltre 62mila detenuti come prima dell'indulto) cercando di svuotarle. A sfruttare al meglio le misure sarà chi, grazie a un lavoro di prestigio o a mezzi economici, potrà pagarsi un famoso avvocato e ottenere da Comuni e Regioni i lavori migliori.

Giustizia, in arrivo le condanne socialmente utili

www.ilmessaggero.it
Diverse le novità del ddl sulla certezza dell'applicazione della pena messo a punto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano che potrebbe ricevere il via libera del Consiglio dei ministri di mercoledì. Chi è accusato di favoreggiamento, oppure di falso in bilancio, abuso di ufficio, truffa semplice o comunque di qualsiasi altro reato punito con pene fino a quattro anni di carcere, se incensurato avrà la chance di vedere estinto il reato. E potrà farlo ricorrendo alla «messa alla prova», un istituto simile a quello già in vigore per i processi penali minorili: si sospendono l'udienza preliminare o l'udienza nella fase predibattimentale davanti al giudice monocratico, l'imputato svolge lavori di pubblica utilità indicati dal ministro della Giustizia e, alla fine di un percorso riabilitativo di massimo due anni,resterà incensurato, perchè il reato che gli viene contestato è cancellato.


La probation. Si tratta di un provvedimento simile alla probation anglosassone, e già adottata, sin dal 1988, nel nostro processo penale minorile. Dal 1999 al 2004 sono stati 788 i minorenni che hanno ottenuto la sospensione della pena con probation, poi divenuti 2.173 nel 1992 fino ad arrivare a 2173 nel 2004. Nell'80,9% dei casi la messa alla prova è andata a buon fine e il reato si è estinto.

Contro la decisione del giudice di concedere la probation il pm può ricorrere in Cassazione. La prescrizione è sospesa durante la durata della prova. In caso di violazioni, allora si torna sotto processo. Novità assoluta, a decidere le modalità di svolgimento dei lavori di pubblica utilità per chi è in prova (e che verrà affidato alla polizia penitenziaria con compiti di esecuzione penale esterna) sarà il Ministro della Giustizia con un successivo decreto ad hoc.

Benefici penitenziari. Il provvedimento - 8 articoli in tutto - prevede nel contempo un giro di vite nella concessione dei benefici penitenziari per ottenere i quali sarà obbligatorio svolgere lavori di pubblica utilità.

Lavori di pubblica utilità. Sospensione condizionale della pena, affidamento in prova, libertà controllata si potranno ottenere solo dietro l'obbligo di svolgere, gratis, per non più di due anni e fino a 24 ore a settimana, lavori sociali in favore di Stato, regioni, enti locali o enti di assistenza-volontariato. Per il Guardasigilli Alfano l'obiettivo è che «chiunque abbia prodotto un danno alla società risarcisca la società».

Verso Cdm di mercoledì. Il provvedimento potrebbe essere discusso come "fuori sacco" già nel Consiglio dei ministri di mercoledì (nell'ordine del giorno di Palazzo Chigi, infatti, sino ad ora non risulta), oppure slittare all'eventuale Cdm di venerdì prossimo.

L'Idv Antonio Di Pietro attacca il governo su un altro provvedimento che riguarda la giustizia e che «assicura l'impunità a tutti», specie agli incensurati. «Dopo il Lodo Alfano e il Lodo Consolo per salvare i potenti, ora arriva la norma per salvare tutti gli incensurati», che resteranno tali - dice - anche se si sono macchiati di reati «ambientali, o fiscali o che riguardano la salute o gli incidenti sul lavoro».

L'Associazione nazionale magistrati invece approva le nuove misure. Il presidente Luca Palamara spiega che «la messa alla prova e la sospensione della pena sono richieste che avevamo avanzato al ministro Alfano anche nel recente incontro. Sono pertanto misure alternative che valutiamo favorevolmente sotto il profilo dell'incentivo delle pene alternative al carcere». Tuttavia, la proposta dell'Anm era di fissare un limite per i reati fino a tre anni anzichè quattro.

L'associazione Antigone, allarmata per il sovraffollamento delle carceri (oltre 58mila detenuti contro una capienza di 43mila posti), ritiene che la messa alla prova sia «una misura da sperimentare», mentre giudica simili a «forme di lavoro forzato» i lavori gratis che i detenuti saranno obbligati a svolgere per poter ottenere i benefici penitenziari. La «diffusa sensazione di impunita», più volte denunciata anche dal capo della Polizia Antonio Manganelli, è provata - secondo la relazione illustrativa del ddl - da una serie di dati: ogni anno vengono concesse circa 50 mila sospensioni condizionali della pena (pari a circa un terzo delle sentenze di condanna passate in giudicato ogni anno), ma in soli 1275 casi nel 2007 la sospensione è stata subordinata a condotte risarcitorie della persona offesa. Insomma, non c'è stata «alcuna contropartita». Ma, contemporaneamente alla stretta per i benefici premiali ai condannati, il governo pensa a un bilanciamento: il carcere - è ancora scritto nella relazione - deve restare extrema ratio. Da qui la necessità di far ricorso alla messa alla prova degli indagati/imputati.

sabato 15 novembre 2008

Giustizia: Di Somma (Dap); presto i detenuti saranno 62 mila

Redattore Sociale - Dire, 15 novembre 2008

Il vicedirettore del Dap al convegno della Conferenza volontariato in carcere: "Personalmente non vedo la possibilità di sbloccare questo continuo ingresso. Ma intanto si potrebbe debellare il fenomeno degli arresti e scarcerazioni in pochi giorni".

"Dai 38 mila detenuti che si registravano subito dopo l’indulto siamo di nuovo ritornati a una presenza di 58 mila detenuti circa nelle carceri italiane e ci avviamo presto verso la cifra dei 62 mila. Io personalmente non vedo la possibilità di sbloccare questo continuo ingresso e credo comunque che sia arrivato il momento di dire che la presenza di detenuti nelle carceri italiane si stabilizzerà sui 60 mila, un po’ come succede in Francia".

Lo ha detto oggi Emilio Di Somma, vicedirettore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), partecipando al convegno organizzato dalla Conferenza nazionale del volontariato penitenziario che ha presentato la sesta rilevazione sulla presenza dei volontari nelle strutture detentive italiane.

Di Somma ha spiegato che ci sono molte cause concomitanti a determinare l’aumento del flusso di detenuti e ha anche confermato il fatto che l’amministrazione penitenziaria deve fare i conti con l’esistente, senza immaginare eventuali bacchette magiche, anche perché, ha spiegato Di Somma "mi sembra altamente improbabile qualsiasi provvedimento di clemenza a breve termine".

Per quanto riguarda le cose possibili da fare il vicedirettore del Dap ha spiegato che, anche se si applicassero le norme del braccialetto elettronico e delle espulsioni, s’intaccherebbe di poco sul numero complessivo perché si tratterebbe tutto sommato di 2 mila unità circa.

Il problema è quindi fare i conti con l’esistente e mettere mano prima di tutto alla riorganizzazione interna dell’Amministrazione Penitenziaria e a un’attenta gestione degli spazi disponili. Si è infatti di fronte al paradosso che i posti disponibili sono spesso anche inferiori a quella capienza minima di 42 mila posti definita.

Di Somma ha spiegato che questo succede perché spesso ci sono in corso lavori di ristrutturazione che diminuiscono gli spazi disponibili. L’altra cosa da fare è quella di tentare una diversa distribuzioni dei detenuti nel territorio anche perché la gran parte della popolazione detenuta non ha bisogno di troppi controlli.

Per quanto riguarda la possibilità di rallentare il flusso delle entrate, è ovvio che questo attiene al livello politico, perché si dovrebbero modificare le leggi esistenti; ma senza arrivare a una modifica normativa sono possibili lievi ritocchi alla procedura penale, cominciando dal debellare quel fenomeno degli arresti e scarcerazioni in pochi giorni. "Ci sono molti casi - ha detto Di Somma - di persone che vengono arrestate e stanno dai 2 ai 10 giorni in carcere e poi vengono fatte uscire. Questo crea un grande scompenso nell’organizzazione e crea anche quegli scandali mediatici di casi di detenuti che dormono per terra. Non ci sono detenuti che dormono per terra, ma è certo che ci sono stati casi in cui sono state inserite nelle strutture carcerarie 100 persone in un giorno, quando i posti disponibili erano 80". Il vicedirettore del Dap ha fatto grandi elogi all’azione del volontariato nelle carceri e ha detto: "Non solo li ringrazio ma considero il loro lavoro a volte come sostitutivo rispetto a quello delle istituzioni. Il corretto apporto del volontariato dovrebbe essere aggiuntivo e non sostituto a quello che fa l’amministrazione"

venerdì 14 novembre 2008

BRUNETTASTORY- QUANDO LA REALTA' SUPERA LA SATIRA

da espresso.it
di Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo
La trasferta per diventare professore. La casa con sconto. Il rudere-villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera storia del ministro

Giustizia: gli educatori "condannati" a non andare in carcere

di Alessandro Chiappetta

Aprile on-line, 14 novembre 2008

Continua l’autunno caldo delle proteste. Ieri è toccato agli educatori penitenziari, mobilitati con un sit-in alla Camera per chiedere lo sblocco delle assunzioni. I fondi ci sono ma non vengono utilizzati, e per fare un concorso ci sono voluti 5 anni. Solidarietà da Di Pietro.

Non avranno l’impeto dell’onda studentesca, né la visibilità dei piloti Alitalia, ma nell’autunno caldo delle proteste è giunto il loro momento. Sono gli educatori penitenziari, centinaia di persone in bilico impossibilitate a svolgere il proprio lavoro, o costrette a farlo in condizioni precarie. E non un lavoro qualunque, ma il fulcro della funzione rieducativa della pena. Si sono ritrovati oggi a Roma, a decine, sotto la pioggia battente, sotto un gazebo che ha fatto da quartier generale del loro sit-in a Piazza Montecitorio, per protestare soprattutto contro la lentezza delle assunzioni, che si somma ai tempi già biblici dei concorsi. Hanno denunciato soprattutto "lo status di precarietà lavorativa di 397 vincitori e 500 idonei che hanno partecipato al concorso indetto dal ministero della Giustizia per educatori penitenziari, durato ben 5 anni". Nonostante la carenza di educatori penitenziari sia stata appena stimata "in 826 unità", cioè più del doppio di quelli che dovrebbero essere assunti.

Il bando è stato indetto il 21 novembre 2003, ma solo nel 2008 sono finite le prove d’esame delle migliaia di candidati, già provati dalle attese sulle date, slittate di mese in mese per anni. Una prima graduatoria sarebbe dovuta uscire entro fine ottobre, ma ancora non è stata pubblicata, potrebbe arrivare a dicembre. Una volta individuati i candidati sarà poi tempi di assegnare loro le rispettive sedi di lavoro, ma si teme che anche questo passaggio avverrà con la lentezza snervante della burocrazia italiana.

Ad oggi sono 397 gli educatori penitenziari vincitori in pectore del concorso e in attesa di assunzione. L’unica promessa è quella di assumere 135 unità nel 2009, sfruttando gli unici fondi che sembrano disponibili, quelli stanziati nel 2006 dal governo Prodi. Ma anche su questo punto non è chiaro se l’assunzione riguarderà soltanto gli educatori, o anche personale contabile e amministrativo, la cui attesa è anch’essa superiore ai due anni. I meno fortunati potranno sperare che la loro situazione si sblocchi nel 2010, ma per ora non ci sarebbero né fondi, né tantomeno garanzie. Alla paralisi si accompagna, denunciano gli operatori, la beffa, ovvero "la presenza nelle casse statali dei fondi per assumerli tutti in blocco già nel 2009. Infatti, secondo il calcolo della Corte dei Conti, il saldo contabile della Cassa Ammende al 30 aprile 2008 è di più dei 139 milioni di euro necessari per regolarizzare la posizione del personale vincitore ed idoneo".

La mobilitazione è cominciata qualche settimana fa, con la creazione di un comitato a tutela degli interessi dei candidati, che chiaramente hanno dovuto trovare tutti altri lavori o fonti di guadagno dell’attesa di una risposta. La presidentessa Lina Marra ha incontrato il Sottosegretario alla Giustizia con delega al personale Senatore Caliendo, alcuni deputati del PD hanno fatto un’interrogazione parlamentare, altri (anche della maggioranza) hanno fatto un esposto al ministro Alfano per la questione della cassa delle ammende che potrebbe essere usata per assumere gli educatori. Per ora niente si è mosso, nonostante le rassicurazioni, ultima quella di Gianni Letta, a nome del premier Berlusconi.

La richiesta del Comitato "I nuovi Educatori Penitenziari", spiega una nota, è "unicamente di trovarsi dietro le sbarre per poter essere "liberi di esercitare il prezioso lavoro all’interno delle carceri italiane". "Allo stato attuale - spiegano - sia i vincitori che gli idonei al concorso sanno che potranno essere inseriti a ruolo a scaglioni non prima del 2010, in quanto i fondi per le assunzioni sono rimasti quelli stanziati dal precedente Governo e sono da suddividere con altri profili del Dipartimento amministrazione penitenziaria, in un periodo, tra l’altro, di forte carenza di educatori penitenziari".

"La protesta - spiega Lina Marra, presidente del comitato - vuole sensibilizzare il Governo e l’opinione pubblica su un problema che riguarda tutti, in quanto l’immissione in servizio dei nuovi educatori permetterà di mettere in atto una politica penitenziaria in maggiore coerenza con il disposto costituzionale, così da consentire che l’esecuzione della pena detentiva acquisisca una concreta valenza educativa partendo dal presupposto che un detenuto rieducato è un delinquente in meno per la società".

Per ora, i ragazzi del Comitato hanno incassato la solidarietà di Antonio Di Pietro. "È un vero scandalo quello che sta succedendo agli educatori penitenziari - ha detto il leader Idv incontrando i manifestanti infreddoliti - perché, con il fatto che questo governo ha ridotto del 20% i fondi alla giustizia, non si riesce a farli assumere, nonostante abbiano superato un regolare concorso. E nonostante ci sia un gran bisogno di loro. Abbiamo presentato degli emendamenti in loro difesa alla finanziaria, ma ce li hanno bocciati".

mercoledì 12 novembre 2008

CARCERI: PALOMBA, GOVERNO DISINTERESSATO A SOVRAFFOLLAMENTO

(AGI) - Roma, 12 nov. - “Il governo continua a danzare sulla nave che affonda. Lo fa anche sul nuovo sovraffollamento delle carceri, che entro l’anno registreranno un numero di detenuti vicino a quello precedente all’indulto”. A dichiararlo e’ Federico Palomba, esponente dell’Idv e vicepresidente della commissione giustizia. “Su questo provvedimento - aggiunge Palomba - anche il ministro Alfano si e’ aggiunto alla lunga lista dei pentiti. Noi dell’Italia dei Valori da subito ne avevamo denunciato l’inutilita’ senza una seria riforma della giustizia, di cui il governo ancora dimostra di disinteressarsi. Infatti preferisce finanziare la legge Mancia, che disperde risorse in elargizioni clientelari, piuttosto che l’edilizia penitenziaria. Con il decreto legge 112 di giugno la maggioranza aveva tolto 55 milioni di euro destinati all’edilizia carceraria dall’allora ministro Di Pietro per finanziare la legge clientelare sulla soppressione dell’Ici per la case dei ricchi. IdV ha proposto un emendamento per il ripristino dei fondi per l’edilizia carceraria, togliendoli proprio alla legge Mancia. La maggioranza l’ha bocciato: ne paghera’ presto le conseguenze, ma le fara’ pagare anche all’intera comunita’ italiana”. (AGI)

LETTERA APERTA AL MINISTRO ALFANO

Eg. Ministro,
L'indomani la Sua nomina abbiamo accolto favorevolmente la convocazione sindacale che ha fissato il 24 giugno u.s. realizzando, forse con troppa immediatezza, che l'oggetto della discussione sarebbe stato esteso anche alle OO.SS. rappresentanti il personale afferente il Comparto Ministeri. Così non è stato, in quanto l'incontro ha visto al tavolo le OO.SS. rappresentative del personale del Corpo della Polizia Penitenziaria e, la settimana scorsa, quelle rappresentanti la Dirigenza penitenziaria.

A tutt'oggi questa mancanza "razionale" non è stata rettificata.

L'incontro, sig. Ministro, oltre il valore etico, Le avrebbe rappresentato in tutta la sua globalità ed interezza la drammatica situazione in cui versa il sistema penitenziario, a ridosso del collasso, dedotto sia dalle condizioni detentive vicino all'implosione in ragione del sovraffollamento degli istituti di pena (siamo ritornati , più o meno, alla situazione del pre indulto ca 1000 unità al mese risultano gli ingressi nel circuito carcerario), sia dalle difficili condizioni operative nell'ambito dell'esecuzione penale interna ed esterna per le carenti risorse economiche e di personale.

E' evidente una situazione critica, dove il disagio trova il suo significato nell'operare quotidiano verso il quale occorrerebbe prestare una attenzione seria e pragmatica, in virtù di una pericolosa idiosincrasia nei confronti della popolazione detenuta, da una parte di addetti ai lavori oltre di una fetta del mondo politico sociale.

Come sopra accennato emerge dalla disamina dei dati oggettivi una perniciosa carenza dell'organico del personale Comparto Ministeri, in difetto di circa 2000 unità, così come si può evincere dal seguente schema:

715 educatori presenti a fronte dei 1376 previsti,
942 contabili presenti a fronte dei 1243 previsti,
1154 Assistenti sociali a fronte dei 1630 previsti,
1945 collaboratori amministrativi a fronte dei 2365 previsti

La matematica, Sig. Ministro, non è una opinione e Lei ne è consapevole.

I numeri sono questi e da questi numeri reali riteniamo necessario avviare una discussione che apra un confronto nel merito, e si renderà conto che la situazione attuale rasenta una pesante drammaticità che diverrà intollerabile con il previsto taglio del 10% delle dotazioni organiche.
E' intollerabile, altresì, che le risorse economiche siano talmente insufficienti da rendere sempre più difficile garantire ai lavoratori diritti derivanti da prestazioni lavorative effettuate oltre l'orario di lavoro e/o da compiti attinenti la specificità professionale, come la retribuzione del lavoro straordinario ed il rimborso delle spese di viaggio derivanti dal servizio di missione che alcune professionalità esplicano in una o più sedi per far fronte alla sopra indicata carenza di organico.
Ma non è tutto. In tale ottica si colloca, altresì, il grido di allarme degli Uffici dell'esecuzione penale esterna dove la mancanza di risorse economiche rischia di bloccare l'attività operativa degli assistenti sociali che si esplica essenzialmente sul territorio inficiandone il mandato istituzionale.
E le prospettive, come vede, non sono certamente ottimistiche.
Infatti, nel settore penitenziario risulta assolutamente devastante l'effetto del DL 112/2008 convertito nella L133/08 che, oltre ad offendere la professionalità e la dignità dei lavoratori, prevede solo per il DAP un taglio netto di circa 133 milioni di euro per il solo 2009, la fetta più alta di riduzione delle risorse imposta dalla manovra finanziaria all'intera amministrazione della Giustizia. Taglio, Sig. Ministro che mette a serio rischio l'intero sistema penitenziario in tutte le sue componenti, nonché l'attuazione di quelle iniziative contrattuali mirate a valorizzare tutte le professionalità ad esso afferenti, mortificate dalle scarse prospettive di crescita e dal mancato riconoscimento del servizio che offrono al paese nel garantire una esecuzione delle pene conforme al dettato costituzionale, un servizio per il quale avremmo auspicato maggior interesse e più impegno da parte delle istituzioni.
Queste, Sig. Ministro, alcune delle ragioni per le quali avremmo voluto incontrarLa.
La Fp Cgil nel manifestarLe la propria disponibilità al confronto, resta in attesa di riscontro e le porge distinti saluti.

La coordinatrice nazionale
Penitenziari - Ministeri
Lina Lamonica

COMUNICATO CGIL GIUSTIZIA SUGLI SCIOPERI

A TUTTI I LAVORATORI DELLA GIUSTIZIA

Segnaliamo a tutti i lavoratori che alcune OO.SS. apponendo la loro firma all'accordo sui rinnovi contrattuali oltre ad accettare un rinnovo inferiore al 30% rispetto all'ultimo rinnovo contrattuale, hanno implicitamente accettato tutte le norme nefaste della legge 133 relative alla vertenza del pubblico impiego.
Hanno dunque accettato il taglio del 10% alle dotazioni organiche che mette in serio pericolo l'efficienza del servizio e, per l'organizzazione giudiziaria, blocca ogni prospettiva di riqualificazione; hanno inoltre accettato i tagli del 20, 30 e 40% alle risorse che non permetteranno agli uffici di nessun dipartimento di sopravvivere ne provocheranno presto la paralisi.
Hanno anche messo la loro firma sulla restrizione dei diritti dei lavoratori pubblici previsti dalla legge 133 e sul modello contrattuale proposto dal Ministro Brunetta che porta a decisioni unilaterali e alla perdita del potere contrattuale.
Per questo ribadiamo l'importanza degli scioperi programmati e chiediamo a tutti di partecipare compatti.

I Coordinamenti nazionali Fp Cgil
del Ministero della Giustizia

sabato 8 novembre 2008

Giustizia: l’ossessione sicurezza, le ronde e i clochard schedati

di Claudio Jampaglia

Liberazione, 8 novembre 2008

Ossessione sicurezza: il governo vara un disegno di legge che smantella lo stato di diritto. Su campi e luoghi di culto decidono i referendum. E Borghezio può organizzare i suoi manipoli.

Ronde legalizzate (e finanziabili dai Comuni) e referendum locali per autorizzare la costruzione di luoghi di culto altri dalle chiese cattoliche o di campi nomadi. Dopo la schedatura dei senza fissa dimora dell’altro ieri e il permesso di soggiorno a punti la Lega fa l’en plein sul Ddl sicurezza passato definitivamente in Commissione Giustizia al Senato.

Il voto in aula è previsto per martedì e stavolta il Pd sembrerebbe intenzionato ad una dura opposizione (lo promette Felice Casson, gli altri speriamo...). Ma comunque passerà. E quindi preparatevi, come dice la legge, a incontrare per strada la sera (o anche di giorno, perché no?) "guardie particolari giurate, nonché associazioni tra cittadini, con funzioni ausiliarie di sorveglianza dei luoghi pubblici" che "cooperano nello svolgimento dell’attività di presidio del territorio". Ronde. Regolamentate dai Comuni, che "segnalino a polizia locale e forze dell’ordine eventi che possano arrecare danno o disagio alla sicurezza urbana". Ronde "con funzioni ausiliarie di sorveglianza dei luoghi pubblici". Così dice la legge. Le armi non gliele hanno ancora date, ma se un cittadino avesse il porto d’armi che fa, si porta dietro il ferro?

Allora immaginatevi una bella ronda, magari capitanata dall’onorevole Borghezio, sotto casa. E sentitevi sicuri. Tanto sono "solo" contro gli altri. Come quei poveracci a cui un gruppo di camicie verdi bruciò delle baracche sotto il ponte Principessa Clotilde il 1° luglio del 2000 (Borghezio viene condannato nel 2002 a 8 mesi in primo grado, poi a 2 anni e 20 giorni, poi a una multa di 3mila euro in Cassazione).

Erano extracomunitari, senza fissa dimora, forse spacciatori. La gente perbene non deve avere paura di Borghezio e nemmeno delle ronde. Perché signora mia, non basta nemmeno l’esercito, bisognerà farsi giustizia da soli.

Chissà cosa diranno i poliziotti e i loro sindacati che tra pochi giorni dovranno trovarsi a fronteggiare oltre che i criminali, anche le ronde. Seguirle. Monitorarle. Evitare che facciano danni, che si mettano nei pericoli, che creino allarmi inutili da verificare continuamente. Un altro provvedimento boomerang? E chi se ne frega.

A furia di spararla grossa e allargare a dismisura i provvedimenti sulla sicurezza si fanno danni alla sicurezza vera e a chi deve gestirla. E poi avanti con l’odio. Col sospetto. Conoscere le strade del proprio quartiere, frequentarle, viverle, viene tramutato in "controllo ausiliario di polizia". Vi immaginate il vostro vicino di casa destrorso e rincoglionito (ce n’è sempre uno) che chiede "chi va là" ai vostri figli che rientrano la sera. E poi?

A furia di spararla grossa, però, si fanno anche buchi nell’acqua. È il caso del famoso reato di immigrazione clandestina. Su cui il governo è costretto a fare indietro tutta dopo averlo sbandierato ai quattro venti. Con un emendamento presentato all’ultimo minuto dal governo in Commissione (si vergognavano?) il Ddl sicurezza cambia così quella che doveva essere la sua norma fondamentale: lo straniero irregolare scoperto dalle forze dell’ordine dovrà pagare un’ammenda da 5 a 10mila euro.

Niente più arresto né processo per direttissima (e meno male, non solo per i migranti ma anche per le carceri, per i tribunali...). Si finisce con il verbale. Solo che difficilmente i migranti senza residenza, senza permesso, arriveranno col bancomat (come ironizza Casson). Quindi? Un verbale. Meglio così, lo ripetiamo. Dalla tragedia alla farsa. Ma siccome qualcosa devono pure dire di avere fatto. Allora via libera alle ronde.

Forza. Opponiamoci. Facciamo ricorsi. Le ronde puzzano di anticostituzionale lontano un miglio. C’è la possibilità che dovranno rimangiarsi anche quelle. Perché il punto è che non sanno quello che dicono. Non hanno la più pallida idea di cosa stanno toccando. Non c’è altra possibile spiegazione. Si vede chiaramente dal "censimento di polizia" per i senza fissa dimora che segue quello contestatissimo anche dall’Europa dei rom (diabolico perseverare).

Una norma stupida e inapplicabile che esisteva già (dal 1954). Come farà il Viminale a regolamentare, entro 180 giorni, un registro dei senzatetto? Sarà da ridere, per non piangere. Come spiega a Redattore Sociale Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, "non volendo pensare che il Governo agisca per motivi diversi dalla tutela dei diritti, non possiamo che dedurre che tale registro sia anche il modo per concedere a qualunque persona senza dimora una prestigiosa residenza anagrafica in Piazza del Viminale 1, a Roma, dove forse magari un giorno potranno anche, in caso di bisogno, essere domiciliati o addirittura alloggiati i "clochard" del paese".

Una delle poche caratteristiche di massa dei senza fissa dimora è la mancanza di residenza anagrafica. La legge la imporrebbe a carico dei Comuni. Ma non ci riescono. Sopperiscono le organizzazioni sociali (dalla Caritas alle cooperative sociali) con "residenze amministrative" presso le loro sedi per questi "fantasmi burocratici" per poi accompagnarli a chiedere tessera sanitaria e accesso ai servizi. Sarà la polizia a farsi carico di tutto questo?

venerdì 7 novembre 2008

Le misure del ministro della Paura

Da Fuoriluogo, di Stefano Anastasia

Il 15 ottobre scorso si è svolta l’annuale cerimonia della polizia penitenziaria. È stata l’occasione, per il nuovo Ministro e per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di scoprire un po’ le carte e di farci intendere cosa vogliano fare delle carceri e dell’intero sistema dell’esecuzione penale. In estrema sintesi: nulla.
Buon ultimo, anche il ministro Alfano non ha potuto che recitare la consueta litania sul sovraffollamento penitenziario: più di 57.000 detenuti per poco più di 43.000 posti regolamentari (un consiglio: non parli più, Signor Ministro, della capienza tollerabile; la tolleranza oltre la norma – il Suo governo ci ripete a ogni pie’ sospinto – è illegale: al di là dell’incoerenza, non è un bell’esempio per i detenuti che volete rieducare e prima o poi qualche Asl vi obbligherà a chiudere). Le cause sono individuate nell’aumento della criminalità degli stranieri e negli arresti di pochi giorni. Le proposte sono quelle note: edilizia, espulsioni degli stranieri, braccialetto elettronico per i meno pericolosi. Cioè, nulla.
Per dare un’adeguata sistemazione ai detenuti ci vorrebbero già oggi 15.000 posti in più. Se il ritmo di crescita della popolazione detenuta è quello che denuncia il Ministro, tra un anno se ne dovrebbero aggiungere almeno altri diecimila e via costruendo. Vi sembra una soluzione realistica? In questo Paese, in cui l’anno scorso è stato inaugurato l’Istituto di Gela, progettato nel 1959? Non parliamo poi delle espulsioni e del braccialetto elettronico, misure già previste e che hanno un grado di effettività pari a zero. Nulla.
Forse qualche domanda in più sulle cause del sovraffollamento può servire, a meno che non ci si accontenti della spiegazione del nuovo capo del Dap (se tutte queste persone vengono incarcerate «è perché la macchina della sicurezza si è mossa bene»). Il ministro, che ci ha provato, parla dell’aumento della criminalità degli stranieri (quale? rispetto a quando?) e dell’effetto porta girevole, secondo cui 24.000 dei 94.000 entrati in carcere nel 2007 ne sono usciti entro il terzo giorno. Il problema è che questi – pur discutibili – dati empirici nulla gli suggeriscono. Non che gli venga in mente che se c’è una sovra-rappresentazione degli immigrati in carcere qualche problema ci sarà pure con la legge che li costringe nella illegalità; non che gli venga in mente che se 24.000 persone entrano ed escono dal carcere in tre giorni, forse potevano pure non entrarci. Le leggi, la criminalizzazione dei migranti, dei tossicodipendenti, della marginalità sociale, deve evidentemente sembrare al ministro una catastrofe naturale, non la conseguenza di scelte politiche, come quelle da lui stesso sottoscritte per l’introduzione del reato e dell’aggravante di immigrazione clandestina, o per la criminalizzazione della prostituzione.
Il governo del carcere, prima che in carcere, si fa nelle scelte di politica sociale e di politica criminale. Se questo vuole essere il governo del ministro della Paura, icasticamente rappresentato dalla maschera di Antonio Albanese nella nuova serie di “Che tempo che fa”, il ministro Alfano metta da parte i buoni sentimenti, lasci perdere i rimedi scaramantici e si appresti a rispondere agli organismi internazionali per i diritti umani: non gli mancherà il lavoro.

Facce di bronzo

Da Fuoriluogo, di Maramaldo

«Carceri come porte girevoli»: l’immagine usata dal ministro Alfano è meno rozza di quella evocata dal suo predecessore Castelli («Hotel a 4 stelle») ma di analogo significato: in prigione si sta troppo poco o troppo bene. Viene in mente la regina Maria Antonietta: conosceva i problemi del popolo quanto i nostri Guardasigilli sono edotti di quelli delle carceri. Egualmente beffarde sono le soluzioni proposte. Stante che i reclusi sono già oltre 57.000, a fronte di una capienza regolamentare di 43.262 posti, è evidente che la situazione è intollerabilmente fuori controllo. Meno evidente, anzi misterioso, è ciò che governo e parlamento intendono fare prima che le carceri esplodano.
maramaldo

7 novembre 2008- Manifestazione a Milano dei Dipendenti Pubblici


Statali/ Fp-Cgil: Sciopero Nord riuscito, adesioni ben oltre 50%

In molti enti e città superato il 70%, comizio di Podda a Milano

Roma, 7 nov. (Apcom) - Lo sciopero della Fp-Cgil nelle regioni del Nord a sostegno della vertenza per il rinnovo del contratto degli statali "è stato un successo" e le piazze gremite di Milano, Bologna, Torino, Padova e Genova "sono il segno del consenso dei lavoratori alle ragioni della nostra lotta". Lo sottolinea la categoria del pubblico impiego della Cgil.

A Milano in piazza Duomo davanti a oltre 60mila manifestanti ha tenuto il comizio di chiusura il segretario generale della categoria Carlo Podda. In Lombardia l'adesione media allo sciopero supera il 50% con punte che arrivano al 70-80%. A Milano e a Sesto San Giovanni, per il comparto autonomie locali ha scioperato il 95% dei lavoratori, all'ospedale Niguarda il 70%, al Comune di Milano una media del 50% con oltre il 70% dei servizi chiusi, così come quasi tutti i servizi all'infanzia (come per esempio a Cremona).

Lo sciopero ha visto una partecipazione dei lavoratori Inps in Lombardia con una media tra il 60 e 70%, a Milano le sedi Inps sono chiuse; a San Vittore ha scioperato il 70% dei lavoratori. A Brescia nell'Inps c'è stata un'adesione superiore al 70%, a Desenzano del 100%. All'amministrazione provinciale di Brescia hanno scioperato al 60%, quelli del dipartimento provinciale del lavoro al 65% e nei comuni del Bresciano una media del 70%.

In Brianza, all'ospedale di Vimercate ha scioperato il 50% dei lavoratori, al Comune di Muggiò l'85%, al Comune di Desio il 70%. A Mantova, al Comune, ha scioperato il 70%. A Bologna, in piazza Maggiore 40mila persone hanno partecipato alla manifestazione. L'adesione allo sciopero in Emilia Romagna è stata mediamente del 70% in tutti i comparti con punte del 90% nei servizi per l'infanzia, nelle agenzie fiscali, nei piccoli comuni. Tanti i precari presenti con cartelli con la scritta "We have a dream: lavoro stabile".

A Torino in piazza Castello sono arrivate 15mila persone al termine di un corteo, che si è fermato brevemente sotto la sede della Rai. La partecipazione allo sciopero in Piemonte è del 40% medio per agenzie fiscali, ministeri, Inail, del 50% per Inps e Inpdap, l'Aci Pra di Torino era chiuso; gli enti locali registrano una media del 45% con il palazzo civico di Torino al 60% e i consorzi cuneesi al 70%. Nella sanità la media è del 35%, con l'ospedale Molinette al 40% e le camere operatorie dell'ospedale di Alba, di Pinerolo e del Maggiore di Novara sono chiuse.

A Genova in piazza De Ferrari si è concluso il corteo a cui hanno partecipato 5mila persone. Le adesioni allo sciopero in Liguria registrano il 35% medio in sanità con punte del 45% all'ospedale genovese di San Martino e del 70% al Gaslini, il 50% all'Inps, il 30% nelle agenzie fiscali, il 40% negli enti locali, con il Comune di Genova al 50%.

A Padova, dove si è tenuta la manifestazione regionale del Veneto, 13mila persone erano in piazza Garibaldi. Le percentuali medie di adesione allo sciopero in Veneto sono del 50% in sanità e nei ministeri, 40% negli enti locali, 70% negli enti pubblici, a Verona, dove il sindaco intendeva precettare la polizia municipale, i vigili li hanno risposto con uno sciopero al 40%.

"Al ministro della Funzione pubblica, che accredita alle 13 un'adesione allo sciopero del 15% - replica la Fp-Cgil - oltre a consigliargli di guardare le foto delle manifestazioni, rispondiamo così: è circa il 50% in più di quello che lo stesso ministero aveva rilevato nello sciopero delle regioni del Centro il 3 novembre".

mercoledì 5 novembre 2008

Dopo il successo dello sciopero di Lunedì 3 novembre dei dipendendi pubblici del Centro, Venerdì 7 novembre scioperano i dipendenti pubblici delle regioni del NORD e il 14 novembre quelli del Sud e delle Isole

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Il protocollo Brunetta è un successo per il governo, un affare per i contribuenti, una fregatura per i dipendenti pubblici

www.pubblicodominio.blogspot.com
di pietro piovani

E' ora di dare un giudizio sul protocollo d'intesa siglato da governo e sindacati. Quelle tre pagine segnano l'inizio di una nuova epoca per i dipendenti pubblici italiani, e non si può non esprimere una valutazione. Chi scrive su questo blog non fa parte del governo, né di un partito di maggioranza, né di uno di opposizione, né di un sindacato, e non è neppure un dipendente pubblico. Perciò è libero di dire la sua senza essere influenzato da alcun interesse personale.
Analizzerei il testo del protocollo a seconda dei punti di vista.

1. Per i dipendenti pubblici.
Chi lavora in un'amministrazione pubblica non troverà in questo accordo molte ragioni per gioire. Firmandolo i sindacati hanno di fatto rinunciato a un anno di aumenti (nel 2008 ci saranno soltanto gli 8 euro della vacanza contrattuale) e hanno dato il via libera a un contratto nazionale da 70 euro lordi mensili (di cui 60 di aumento di stipendio vero e proprio e 10 da distribuire con i contratti integrativi). Sono cifre che gli stessi sindacati firmatari consideravano fino a pochi giorni fa una miseria. Vi ricordate che cosa si diceva nei posti di lavoro appena qualche mese fa, quando furono firmati i contratti dell'ultimo biennio? Malumori fra i dipendenti, assemblee di fuoco, crisi di coscienza fra i sindacalisti, dirigenti di Cgil-Cisl-Uil contestati, e alle Agenzie fiscali addirittura si andò vicini alla bocciatura del contratto. In alcuni comparti la Confsal (che oggi ha aderito alla proposta di Brunetta) si rifiutò di firmare. All'epoca si trattava di un aumento medio da 101 euro lordi, ma tutti i dipendenti pubblici la consideravano "un'elemosina". Eppure gli stipendi si rivalutavano del 4,5, cioè più dell'inflazione, mentre con l'accordo di Brunetta la rivalutazione sarà del 3,2%, cioè molto meno di quanto crescerà il costo della vita (si veda questa tabella).
La Cisl e la Uil ribattono: sì, ma grazie a questo accordo abbiamo recuperato i soldi che Tremonti aveva tagliato dai fondi di amministrazione. E' vero. Ma è come dire che si è ottenuto il risultato di avere quello che si aveva già. Si è accettata una perdita di potere d'acquisto per non dover subire un danno ancora maggiore. Non mi sembra un grande successo. Senza contare che, siglando la pace con il governo, Cisl e Uil hanno di fatto rinunciato a difendere quei 50-60 mila precari destinati a rimanere disoccupati fra meno di un anno.

2. Per i contribuenti.
Quelli che forse dovrebbero gioire sono gli altri italiani. Coloro che non lavorano per il settore pubblico, e che pagano le tasse. Il contratto da 70 euro, unito alla riduzione degli organici programmato per i prossimi anni, farà risparmiare parecchi soldi allo Stato. Ridurre il costo del personale è una cosa molto negativa per il personale, ma molto positiva per il paese. In questo momento vanno di moda le ricette economiche keynesiane, e tutti consigliano al governo di aumentare la spesa pubblica per sostenere i consumi e favorire la ripresa. Ma per Keynes - che era un genio - la spesa pubblica non era mica tutta uguale: c'è spesa e spesa. Personalmente, rimango dell'idea che lo Stato italiano ha ancora bisogno di ridurre le sue spese correnti (cioè pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici), mentre le poche risorse disponibili andrebbero concentrate sugli investimenti (cioè ferrovie, porti, reti tecnologiche, ricerca scientifica, volendo anche istruzione). Un investimento è una spesa che mi garantirà un reddito maggiore nel futuro. Una spesa corrente è una spesa e basta.
Certo, non tutti i contribuenti sono uguali. Per i lavoratori autonomi, un risparmio sui contratti pubblici è sicuramente un affare. Per i dipendenti delle imprese invece il discorso è più complesso: risparmieranno sulle tasse, ma ci rimetteranno sui loro stipendi, perché il 3,2% di rivalutazione concesso ai pubblici farà da parametro per i contratti nazionali dei privati.

3. Per il governo.
Non c'è dubbio: dalla vertenza sul pubblico impiego chi esce sicuramente vincitore è il governo. Con il protocollo d'intesa si è garantito un biennio di moderazione salariale. Ma soprattutto, è riuscito a spaccare il fronte dei sindacati confederali. E' un successo politico. Isolare la Cgil è stato sin dall'inizio un obiettivo primario del centrodestra, soprattutto di quell'area del centrodestra che fa capo a Sacconi e Brunetta. Con la Cgil e la Cisl che si fanno la guerra, il Partito democratico si trova in forte imbarazzo. Lo si è visto già lo scorso 25 ottobre al Circo Massimo: Walter Veltroni ha potuto sfogarsi sulla scuola (dove i sindacati sono rimasti uniti) ma riguardo al pubblico impiego è dovuto rimanere sul generico, per evitare di scontentare l'una o l'altra confederazione.
Per il governo Berlusconi, un accordo separato senza la Cgil ha un valore politico altissimo. Ecco perché Brunetta ha ottenuto il via libera da Palazzo Chigi, nonostante l'opposizione del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che non voleva concedere neppure quei pochi soldi necessari a raggiungere l'accordo.

Ma dei contrasti fra Tremonti e Brunetta parleremo nei prossimi giorni.