L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

sabato 27 ottobre 2007

ANSA

Giustizia: solo le misure alternative contengono la recidiva
26 ottobre 2007
Sono le misure alternative al carcere la modalità di esecuzione della pena "più capaci di contenere il fenomeno della recidiva". Lo ha detto il sottosegretario della giustizia, Daniela Melchiorre, intervenendo stamani alla festa regionale della polizia penitenziaria che si è tenuta a Milano. Lo ha detto parlando dell’ipotesi di "proiezione all’esterno dell’azione degli agenti".
"La proposta ha suscitato entusiasmo e perplessità tra gli addetti ai lavori - ha detto il sottosegretario nel suo intervento -.
Soprattutto per contrastare l’inserimento degli agenti di polizia penitenziaria negli Uepe (Uffici di esecuzione penale esterna), in una sperimentazione inizialmente circoscritta ad alcune regioni, sono state attivate delle iniziative di mobilitazione e c’è un’interrogazione parlamentare in corso, interrogazione a risposta in commissione, presentata a luglio".
"Sono sicura che - ha aggiunto -, se si cercherà un confronto sereno e obiettivo tra le parti coinvolte nei temi in questione, si potrà riuscire a individuare la soluzione più giusta che, confortata dalla normativa vigente, contemperi l’apertura al cambiamento e la valorizzazione delle consolidate competenze professionali dei diversi operatori. Soprattutto, renda sempre più efficaci le misure alternative che - ormai è provato dalla statistica - sono la modalità di esecuzione della pena più capace di contenere il fenomeno della recidiva".

martedì 23 ottobre 2007

Conferenza Nazionale Uepe-Ordine Nazionale Ass.Sociali

PROGRAMMA
CONFERENZA NAZIONALE UEPE
Roma, 7 novembre 2007
Centro Congressi Cavour - Sala Quirinale
Via Cavour, 50/A
ore 10,00
Apertura lavori Fiorella Cava
Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali
“Le misure alternative alla detenzione alla luce delle riforme in atto”
ore 10.30
Relazione introduttiva Riccardo Turrini Vita
Direttore Generale Ufficio Esecuzione Penale Esterna - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria
Intervengono Alessandro Margara
Presidente Fondazione Michelucci - Firenze
Desi Bruno
Garante dei diritti delle Persone private della Libertà personale - Bologna
Angelica Di Giovanni
Presidente Tribunale Distrettuale di sorveglianza - Napoli
ore 13. 00 Pausa
ore 14.00 TAVOLA ROTONDA
“Prospettive e sviluppo del servizio sociale nelle misure alternative alla detenzione”
Modera Giornalista …….
Relazione introduttiva Franca Dente
Vicepresidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali
Intervengono Anna Muschitiello
Segretario Nazionale Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia
Sebastiano Zinna
Dirigente Ufficio II - Istituto Superiore di Studi Penitenziari
Eustachio Vincenzo Petralla
Dirigente Ufficio II - Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna
Marina Riga
Assistente sociale UEPE Roma
Elisabetta Laganà
Presidente SEAC - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario
ore 16.00
Spazio aperto Sono previste comunicazioni di CROAS, assistenti sociali UEPE, Organizzazioni Sindacali
ore 17.00 Chiusura lavori

lunedì 22 ottobre 2007

CONFSAL-UNSA



Al Pres. Ettore Ferrara
Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
ROMA
Al Dott. Emilio di Somma
Vice Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
ROMA
Al Dott. Massimo De Pascalis
Direttore Generale del Personale
e della Formazione
ROMA
e, per conoscenza
Al Sen. Clemente MASTELLA
Ministro della Giustizia
ROMA
Al Prof. Luigi Manconi
Sottosegretario di Stato
Ministero della Giustizia
Al Servizio per le Relazioni Sindacali
Dipartimento Amm.ne Penitenziaria
ROMA
OGGETTO: Status del Personale civile " penitenziario – richiesta confronto nazionale
La scrivente O.S., sin dall’insediamento delle SS.LL. ai vertici del DAP, ha più volte rappresentato (per le vie brevi, con apposite note e nel corso degli incontri sindacali) le numerose problematiche del personale penitenziario del Comparto Ministeri, ricevendo al riguardo ampie assicurazioni intese a voltar pagina rispetto alla "passata gestione" e a definire, in un lasso di tempo ragionevole, i punti di criticità che paralizzano l’Amministrazione penitenziaria, ridando così efficienza ed efficacia all’attività istituzionale e, nel contempo, dignità giuridico, economica e professionale al personale tutto.
A tutt’oggi, però, nonostante le numerose rassicurazioni di volta in volta fornite dalle SS.LL., dobbiamo registrare che neppure le problematiche immediate del personale civile sono state risolte .
La CONFSAL UNSA " INVITA " pertanto l’Amministrazione, ritenendo che sia trascorso ormai quel ragionevole lasso di tempo necessario per approfondire le questioni poste sul tappeto, ad affrontare, con autorevolezza e senza ulteriori indugi, la questione dello " Status del personale civile", prestando quindi attenzione agli Educatori, Assistenti Sociali, Tecnici, Amministrativi e Sanitari che, con professionalità, spirito di sacrificio e senso di abnegazione, attendono allo svolgimento della delicata attività istituzionale, sia all’interno che all’esterno delle carceri, fianco a fianco con il personale di polizia e dirigenza penitenziaria, senza però i medesimi riconoscimenti giuridici e professionali ma, anzi, negli ultimi anni, nel più completo stato di abbandono.
La CONFSAL UNSA " DENUNCIA", infatti, le macroscopiche, ingiustificabili ed intollerabili sperequazioni e disparità di trattamento del personale civile delle carceri e degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, rispetto al personale di polizia, quali.
Indennità di trasferta soppressa
Trattamento pensionistico negato l’abbuono di 1 anno ogni 5
Rimborso rette asili nido dei figli soppresso
Indennità meccanografica esp. informatici soppressa
Stipendio inferiore del 30%
Stanziamenti lavoro straordinario ridotti del 70% nell’arco di due anni
Assunzioni di personale dall’esterno sospese
Assunzioni vincitori riqualificazioni sospese
Assunzioni vincitori concorsi dirigenziali sospese
Rapporto di lavoro di diritto pubblico soppresso
La CONFSAL UNSA "DENUNCIA" in particolare l’inopportuna e disfunzionale estensione al personale penitenziario della privatizzazione del rapporto di lavoro, che ha comportato la cancellazione "sic et simpliciter" del riconoscimento giuridico della peculiarità e della atipicità delle funzioni penitenziarie, nonché la consequenziale soppressione dell’indennità penitenziaria, uniformando così gli operatori penitenziari civili ai dipendenti che svolgono un ordinario lavoro burocratico nella Pubblica Amministrazione.
La CONFSAL UNSA " DENUNCIA" inoltre che all’interno delle carceri su un totale di 50.0000 dipendenti solo al personale civile (il 10% degli operatori) non è riconosciuta ne la particolare natura delle funzioni esercitate ne il rapporto di lavoro di diritto pubblico, in deroga all’art. 2, commi 2 e 3, del D.lgs 165/2001 (vedasi polizia e dirigenza penitenziaria).
La CONFSAL UNSA "RIBADISCE" che il lavoro espletato da tutti gli operatori penitenziari è stato qualificato come "MISSIONE" e classificato "DI NATURA INGRATA" dalle "Regole Minime per il trattamento del detenuto" (risoluzione adottata dall’ONU in Ginevra il 30 agosto 1955) e nelle "Regole Penitenziarie Europee" (Raccomandazione n. 87-3), entrambe recepite dal Governo Italiano.
La CONFSAL UNSA "DENUNCIA", altresì , che allo stato attuale il lavoro prestato dal personale civile penitenziario non è classificato neppure usurante e, quindi, agli operatori viene negato anche il diritto al pensionamento anticipato di 3 anni. Infatti è innegabile che l’operatore del carcere è sottoposto a forme di logoramento e stress psico-fisico, con frequenti episodi di somatizzazione del disagio, che sfociano nella nota "Burnout’s Sindrome".
La CONFSAL UNSA "DENUNCIA", infine, l’assenza di provvedimenti correttivi a favore del personale civile penitenziario anche nel ddl n. 1817 in esame al Senato della Repubblica (Finanziaria 2008).
La CONFSAL UNSA , pertanto, per le ragioni sopra esposte- CHIEDE- l’apertura urgente di un tavolo di confronto nazionale sullo "Status del Personale civile" penitenziario.

Conferenza Stampa Pacchetto Sicurezza

ASCOLTA:
Conferenza Stampa sul tema "Il pacchetto di sicurezza proposto dal Governo".
Intervengono: Cesare Salvi (Presidente Commissione Giustizia del Senato), Giovanni Russo Spena (capogruppo PRC al Senato), Maria Luisa Boccia (Senatrice PRC), Nuccio Iovene (Senatore SD), Marco Boato (Deputato Verdi) e Sergio D'Elia (Deputato radicale Rosa nel Pugno).

Antigone

I NOSTRI 7 NO
I nostri 7 no al pacchetto sicurezza si accompagnano ad alcuni sì.

SI' A UN NUOVO CODICE PENALE CHE RIDUCA PENE E REATI COSI' CONSENTENDO ALLE FORZE DELL'ORDINE E AI GIUDICI DI CONCENTRARSI SUI REATI GRAVI. SOLO UNA RIDUZIONE CODICISTICA DELLA ENTITA' DELLE PENE PUO' ESSERE ACCOMPAGNATA DA UNA MINORE FLESSIBILITA' IN FASE ESECUTIVA

SI' ALL'ABROGRAZIONE DELLE LEGGI BOSSI-FINI SULL'IMMIGRAZIONE E FINI-GIOVANARDI SULLE DROGHE CHE CREANO DAL NULLA IPOTESI ARTIFICIOSE DI ILLEGALITA'

SI' ALLA VELOCIZZAZIONE DEI PROCESSI PENALI, UNICO MODO PER RIDURRE LA SENSAZIONE DIFFUSA DI INGIUSTIZIA


1 CUSTODIA CAUTELARE
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede un irrigidimento nella custodia cautelare. In particolare, ipotesi di reato minore (furto in appartamento e scippo) sono parificate a ipotesi di reato più gravi (mafia e terrorismo). Si arriva a una sorta di automatismo nella applicazione della misura attraverso un meccanismo di inversione dell'onere della prova e una sorta di presunzione di pericolosità.
IL NOSTRO DISSENSO
Bisogna salvaguardare il principio costituzionale secondo cui ciascuno è innocente fino a quando non viene dimostrato colpevole e usare la custodia cautelare solo nei casi estremi. La nostra giustizia penale fa già un uso della custodia cautelare in carcere ben più esteso di qualunque altra democrazia liberale. Attualmente il 59.5% dei detenuti è composto da persone non condannate in via definitiva. Tale ulteriore inasprimento della carcerazione preventiva contraddice il nostro codice di procedura penale e rischia di determinare migliaia di nuovi ingressi per brevi periodi nelle carceri.
LA NOSTRA PROPOSTA
Ragionevolezza vorrebbe che non sia la custodia cautelare a inseguire i tempi lunghi del processo ma che il legislatore intervenga direttamente su questi ultimi, attraverso uno snellimento delle procedure, una informatizzazione dei sistemi, un investimento in risorse, una riduzione delle fattispecie penali al fine di non ingolfare i tribunali.

2 LEGGE SIMEONE-SARACENI
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede l'esclusione dalla sospensione della pena (e quindi dal beneficio premiale) per coloro che, pur avendo una pena inferiore a tre anni, sono stati condannati per furto in appartamento, rapina o scippo.
IL NOSTRO DISSENSO
Il meccanismo della Simeone-Saraceni, approvata solo 9 anni fa, è il seguente: se la pena è inferiore a tre anni, il condannato può chiedere, prima di andare in prigione, l'applicazione di una misura alternativa. Questa possibilità gli deve essere notificata. A decidere sarà la magistratura di sorveglianza. È un meccanismo ragionevole, in quanto si tratta di persone che, una volta in carcere, uscirebbero comunque molto presto qualora abbiano un lavoro. Sono 70 mila circa oggi le persone in sospensione pena in attesa del giudizio di sorveglianza. Le carceri non sono in condizione di accoglierle.
LA NOSTRA PROPOSTA
Destinare più risorse umane alla magistratura di sorveglianza affinché il giudizio avvenga entro una settimana dalla richiesta di sospensione della pena e non invece in tempi non misurabili. Oggi i giudici di sorveglianza sono circa 200 per 47 mila detenuti e altrettante persone in misura penale esterna. Troppi sono invece i giudici applicati ad altri incarichi.

3 BANCA DATI NAZIONALE DEL DNA
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede un prelievo obbligatorio dalle mucose. I destinatari sono in numero imprecisato: vanno dai fermati in quanto indiziati di delitto sino ai condannati per qualsiasi tipo di reato per il quale è previsto l'arresto facoltativo in flagranza. Si prevede l'assunzione di un numero anch'esso imprecisato di tecnici da inserire nella polizia penitenziaria.
IL NOSTRO DISSENSO
Vi è un'estensione eccessiva del prelievo, che quanto meno andava limitato a coloro che erano accusati o condannati per reati contro la persona o contro la personalità dello Stato. In ogni caso andrebbe prevista la distruzione obbligatoria del campione prelevato in caso di proscioglimento o assoluzione.
LA NOSTRA PROPOSTA
Le enormi risorse investite in una ipertrofica banca dati e nell'assunzione di nuovo personale tecnico possono essere usate per meglio garantire il lavoro sereno delle forze dell'ordine e per l'informatizzazione dei tribunali.

4 ESPLUSIONE DI COMUNITARI
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede l'espulsione di cittadini comunitari sia a tutela della sicurezza dello Stato che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. In quest'ultimo caso la competenza è del prefetto. Nel caso di rientro della persona espulsa è automaticamente prevista una pena fino a tre anni di carcere.
IL NOSTRO DISSENSO
La dicitura è vaga e priva di garanzie per il destinatario del provvedimento. Non sono infatti definiti quei motivi di pubblica sicurezza per i quali si potrebbe cacciare un cittadino comunitario dall'Italia. La norma è stata chiaramente pensata quale norma anti-rumeni. E' in contrasto con i contenuti del disegno di legge Amato-Ferrero e dimostra una schizofrenia governativa. E' in contrasto con la filosofia dei trattati comunitari e della mai approvata, ma molto lusingata, Costituzione europea.
LA NOSTRA PROPOSTA
La questione criminale è una questione complessa che non si risolve con facili ricette espulsive. La criminalità straniera va indagata e repressa con metodi investigativi che non sono quelli soliti di contrasto a mafie e terrorismi vari. Ci vuole quindi una riqualificazione del personale investigativo affinché conosca meglio le dinamiche delle comunità straniere, in questo caso di quella rumena, in modo da colpire in maniera utile e selettiva. Non è giusto che una persona pericolosa sia cacciata e non punita se ha commesso un reato. La pericolosità sociale non può essere sganciata dalla commissione di un reato.

5 CONTRASTO PENALE AL DISORDINE URBANO
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede nuove fattispecie penali, quali ad esempio l'occupazione non autorizzata di suolo pubblico. Si vogliono punire in tal modo coloro che esercitano attività commerciali non autorizzate.
IL NOSTRO DISSENSO
Si tratta di una reintroduzione di fattispecie penali che nel tempo erano state depenalizzate. Il legislatore diventa così schizofrenico. Si rischia di mettere in galera persone prive di una vocazione criminale e impegnate piuttosto in attività disperate per la sopravvivenza: senegalesi che vendono merci contraffatte, commercianti abusivi, prostitute, lavavetri.
LA NOSTRA PROPOSTA
L'unica proposta dotata di buon senso è quella di non infierire ulteriormente su coloro che già sono ai margini della società e vivono vite difficili, evitando di trasformarli in novelli criminali.

6 NUOVI POTERI AI SINDACI
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento aumenta i poteri di ordinanza per ragioni di sicurezza dei sindaci e affida nuovi compiti di polizia ai vigili urbani.
IL NOSTRO DISSENSO
Si tratta di una norma di propaganda. Forse non avrà effetti pratici ma legittimerà sovrapposizioni di competenze tra prefetti, questori, forze dell'ordine, come se il nostro sistema non fosse già complesso. Il rischio è che nessuno si occuperà più del traffico nelle città, che i sindaci, invece di occuparsi di anziani, mobilità, pulizia, saranno indotti da motivi di ricerca del consenso a giocarsi la partita inventandosi nuovi strumenti di lotta al disordine urbano.
LA NOSTRA PROPOSTA
A tutela del decoro urbano sarebbe sufficiente investire nell'illuminazione delle periferie, nella creazione luoghi di socialità non solo nei centri urbani. Le polizie municipali devono trasformarsi in corpi di agenti promotori dei diritti.

7 CONTRASTO ALL'ACCATTONNAGGIO DEI MINORI
COSA PREVEDE IL GOVERNO
Il provvedimento prevede un aumento di pene per chi induce minori all'accattonaggio, nonché l'automatica privazione della potestà genitoriale.
IL NOSTRO DISSENSO
Non si può generalizzare. Le situazioni sono diverse l'una dall'altra. C'è la ragazzina sedicenne che mendica insieme al figlio di un anno e il capo banda che sfrutta i minori. Nel primo caso sarebbe inumano togliere il bambino alla mamma.
LA NOSTRA PROPOSTA
La valutazione sulla potestà genitoriale va fatta caso per caso e va affidata al tribunale dei minori.

domenica 21 ottobre 2007

L' Intervento del Casg a Strada Facendo 3


Gli Assistenti sociali della giustizia:
né gendarmi né tecnici dei buoni sentimenti
Strada Facendo 3 Cagliari 19/20/21 ottobre 2007
Anna Muschitiello
(segretaria nazionale casg)
Il titolo di questa relazione riprende quello del I° convegno del CASG, tenutosi a Fiesole nell’ottobre del 1994 (ben 13 anni fa), solo che "involontariamente" ho invertito la costruzione della frase, il convegno, infatti, si intitolava: "Né tecnici dei buoni sentimenti né gendarmi.
Questo scherzo della memoria non è sicuramente casuale: in quanto all’epoca, l’idea di diventare o essere confusi con i gendarmi già si profilava all’orizzonte, ma appariva un’ipotesi paradossale e fantasiosa.
Oggi no!
Questa idea dei gendarmi è ben chiara e piantata nella nostra mente e fatichiamo sempre più a spiegare perché è opportuno, per le pene esterne al carcere, passare dall’esclusivo ambito penale, dal controllo e sicurezza, al sociale, all'offerta di opportunità concrete per raggiungere l’inclusione sociale.
Forse è importante ripartire dalla volontà del legislatore del 1975 per capire il ruolo del Servizio sociale nell’ambito dell’esecuzione delle pene:
….l’introduzione del servizio sociale nel sistema penitenziario del 1975 è stata una scelta culturale, in quanto il S.S. quando interviene sia con i detenuti sia con i soggetti in m.a. tratta di quell’insieme di rapporti che rappresentano il non carcere e che si ricollegano direttamente al reinserimento sociale e ne tratta attuando un approccio che è completamente diverso da quello correzionale proprio dell’istituzione carceraria" Il legislatore del 1975 (puntualmente confermato in tali scelte da tutti gl’interventi legislativi successivi) aveva configurato l’allora CSSA come una struttura anch’essa alternativa al carcere e cioè radicata sul territorio per organizzare e attuare i suoi interventi nel quadro dell’esecuzione penale, seguendo una logica ispirata ad una cultura alternativa ai modelli istituzionali, dall’altro per operare in una prospettiva pienamente integrata con gli altri servizi esistenti nella comunità.........Nel 2000 il nuovo regolamento di esecuzione ha meglio evidenziato e definito i compiti dei CSSA e ha chiarito che l’intenzione di aiuto deve essere tradotta nell’offerta al soggetto di sperimentare un rapporto con l’autorità basato sulla fiducia e sulla capacità della persona di recuperare il controllo del proprio comportamento senza interventi di carattere repressivo, queste indicazioni metodologiche rappresentano un punto di svolta nella concezione dell’esecuzione penale cioè quello di raggiungere la "normalizzazione" del comportamento attraverso l’assunzione da parte dello stesso condannato di atteggiamenti di responsabilità e di autodeterminazione cha con attività repressive non è possibile raggiungere". (R. Breda)
Le scelte del legislatore, anche se rinnovate nel 2000 con il Nuovo Regolamento di Esecuzione, a parere di alcuni ……appaiono superate proprio dallo sviluppo che le MM.AA. hanno avuto in questi anni e che il N.R. del 2000 avrebbe accolto attraverso l’art. 118 in modo "meccanicistico" lo spirito della Riforma del ’75 e con poca attenzione alle novità del fenomeno delle MM.AA……. Ancora, ritengono che le suddette misure avrebbero più credibilità se accanto all’assistente sociale operassero figure istituzionali addette al controllo della condotta, e sempre secondo i sostenitori del "nuovo corso" ciò darebbe più credibilità all’esecuzione penale esterna e consentirebbe un aumento di tali misure in alternativa alla pena detentiva.
Alla luce di queste considerazioni vengono spontanee alcune domande e cioè:
Nei 32 anni di vigenza delle misure alternative è stato dimostrato il fallimento della loro gestione da parte degli operatori che se ne sono occupati?
E’ stato dimostrato che il carcere riesce a rieducare più efficacemente e le logiche che lo governano sono risultate più efficaci di quelle relative alle misure alternative ad esso?
Il costo di tali misure è risultato troppo elevato rispetto alla pena detentiva?
I Magistrati di Sorveglianza hanno concesso poche misure alternative perché non si fidavano degli operatori preposti al controllo e al supporto dei soggetti in misura alternativa?
Il sistema dell’esecuzione penale esterna a causa della sua scarsa credibilità si è andato man mano esaurendo?
Le recidive dei soggetti in misura alternative sono risultate più alte di quelle dei soggetti trattati in carcere?
Niente di tutto questo, anzi, si è verificato esattamente il contrario!
Ormai tutti sanno che a dimostrare il successo, la validità, il buon funzionamento della misure alternative, sono i dati statistici rilevati dalla stessa Amministrazione Penitenziaria e anche se non si pretende che i dati statistici ci spieghino tutto, ci aiutano però ad avere una visuale più oggettiva della situazione: la percentuale di recidiva per coloro che non hanno usufruito del percorso di trattamento è di circa del 68,45%, mentre si riduce all’19% per coloro che hanno beneficiato dell’affidamento al servizio sociale.
Mentre da altra ricerca condotta nel 2005 dall’ UEPE di Firenze (Progetto Misura), in collaborazione con l’Università di Firenze, è stato messo in evidenza che una modalità di esecuzione della pena diversa da quella del carcere, svolta con forme di gestione diversa da parte di assistenti sociali e operatori sociali e con strumenti tecnico-professionali di tipo relazionale, risulta più efficace.
La valutazione di tali dati porta a concludere che il sistema di implementazione della misura dell'affidamento, imperniato sulle modalità operative del servizio sociale, ha complessivamente funzionato nel raggiungimento del duplice obiettivo di rafforzare i processi di inclusione e coesione sociale, contribuendo attraverso il rispetto delle prescrizioni anche al rispetto della legalità e favorendo, in tal modo, una maggiore sicurezza dei contesti di vita dei cittadini.
Quando i dati non c’erano, tutti ne rimarcavano l’assenza e ci si affannava a dimostrare che le MM.AA in realtà funzionavano, ora che i dati ci sono, comunque, sembrano non avere alcuna importanza.
Il fatto che un vasto numero di condannati abbiano usufruito di percorsi di inclusione e che la maggioranza ne abbia fatto anche buon uso sembra non interessi proprio a nessuno.
Il processo riformatore degli anni 2000 che, con il precedente governo era stato del tutto abbandonato e reso inefficace, e che aveva visto entrare sulla scena un quadro normativo coerente con gli obiettivi costituzionali e della riforma del ’75 e cioè:
· la legge di riforma dell’assistenza che ha chiamato in causa il Ministero della Giustizia ai tavoli di concertazione dei Piani di Zona, come componente esperto sulla devianza prevedendo che nella definizione dei P di Z si determinano "modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con particolare riferimento all’amministrazione penitenziaria e della giustizia";
· il Regolamento d’Esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, DPR 230/00, che recependo i principi della legge di riforma prevede l’attribuzione di un mandato chiaro agli UEPE:
"…coordina(re) le attività di competenza nell’ambito dell’esecuzione penale con quella delle istituzioni e dei servizi sociali che operano sul territorio. Le intese operative con i servizi degli enti locali sono definite in una visione globale delle dinamiche sociali che investono la vicenda personale e familiare dei soggetti in una prospettiva integrata di intervento": integrarsi con il territorio.
avevamo la naturale aspirazione a vederlo confermato e potenziato con questo governo, in quanto sia la legge quadro sui servizi sociali integrati n.328/00, sia il N.R. DPR 230/2000 avevano dato l’avvio ad un approccio reticolare dando la possibilità ai servizi della giustizia, ma anche agli enti locali di superare la logica settoriale, richiedendo a tutti di uscire dagli specialismi per porre l’attenzione ai fenomeni che sottendono ai problemi.
Quindi, quale conseguenza logica ai dettati normativi, ci si aspettava una organizzazione degli uffici, che si occupano di esecuzione penale esterna, in grado di cogliere il cambiamento culturale ed ambientale che si andava imponendo con la capacità di gestire questi processi, quindi, un'organizzazione agile e flessibile.
Il risultato invece è stato, fuori da ogni previsione, l'ipotesi di un’organizzazione ancora più pesante e rigida dell’attuale. Si sta imponendo, con sempre maggiore forza, la tendenza ad accantonare le scelte operative ed organizzative degli ultimi anni per orientarsi, a nostro parere contro ogni logica, verso il predominio del controllo di polizia, rispetto a quello di tipo professionale sociale.
In pratica,si tende ad utilizzare nelle misure di esecuzione penale esterne le stesse logiche del carcere, sapendo bene che quest’ultime sono comunque negative ai fini del recupero sociale del condannato, ma non basta! Il dibattito di questi giorni sta andando al di là di ogni previsione e si sta addirittura correndo il rischio di fare un salto indietro di qualche decennio e, come accade spesso in questo settore, il pendolo del "tutti dentro" o "tutti fuori" ha iniziato ad oscillare verso le posizioni più restrittive e sicuritarie, dopo l’"abbuffata" di dichiarazioni sull’indulto, approvato solo poco più di un anno fa.
C’è chi sta, addirittura, ipotizzando la possibilità di modificare la legge Simeoni – Saraceni, ma non solo, anche la legge Gozzini e si stanno moltiplicando le proposte di legge in tal senso, provenienti da parlamentari di entrambi gli schieramenti politici, senza distinzione alcuna.
Come al solito non si conoscono mezze misure: sull’argomento sicurezza si oscilla da un estremo all’altro con voli così spericolati che lasciano, chi si occupa, quotidianamente, della materia senza parole, sgomenti, costretti a rincorrere e ribadire "il senso delle cose", con il pericolo di essere fraintesi e tacciati essi stessi di persone ostili al cambiamento .
L’orgia di dichiarazioni apparse sulla stampa negli ultimi giorni sulla questione sicurezza non ci lascia spazio per ulteriori argomentazioni. Tutto sembra già detto e ridetto, ma sembra che il dialogo avvenga tra sordi.
Voglio però prendere spunto da un articolo di Curzio Maltese sul Venerdì di Repubblica del 14 settembre che s’intitolava " ma ad Oslo non ci sono lavavetri". Gli argomenti del noto giornalista tendevano a far passare coloro che in Italia hanno preso posizione contro l’ondata repressiva nei confronti di lavavetri, mendicanti e quant’altro, come dei difensori della mendicità e della questua, portando ad esempio la Norvegia dove lui ha viaggiato questa estate e " ..dove non ha mai incontrato né lavavetri né mendicanti e diceva: sarà una nazione fascista? Eppure la Norvegia vanta il governo più a sinistra dell’Europa, il miglior sistema pubblico di sanità istruzione e trasporti, il più basso indice di povertà, un welfare spettacolare e un’accoglienza agl’immigrati da vergognarsi al confronto. Inoltre ha il triplo degli immigrati dell’Italia e meno di un terzo delle forze di polizia e…non ha bisogno di sposare i metodi forti alla Rudholf Giuliani.
Tutto vero!
...Peccato che Maltese tirava delle conclusioni del tutto diverse da quelle che ci si aspettava da un discorso del genere, infatti, ….concludeva con l’approvazione delle posizioni dei sindaci che avevano aperto le ostilità contro i lavavetri…senza far emergere alcun dubbio sul fatto che, in Norvegia è proprio la bontà di politiche sociali accorte e lungimiranti che fanno sparire dalle strade i lavavetri e tutti i soggetti marginali costretti ad arrangiarsi per "sbarcare il lunario".
Sono le politiche sociali a far aumentare la sicurezza, mentre le politiche repressive e di "tolleranza zero" non fanno altro che acuire i conflitti sociali e spostare i problemi da un quartiere ad un altro o da una città ad un’altra senza mai risolverli.
E' così difficile far capire ai nostri politici, giornalisti e ben pensanti in generale questa verità così elementare?
Perchè quando gli operatori sociali in Italia chiedono più politiche di inclusione mancano sempre le risorse, mentre a dispetto di ogni analisi sociologica, non si bada a spese quando si tratta di aumentare la presenza delle polizie sul territorio?
Non a caso parlo di polizie…infatti la tendenza è quella di armare e trasformare in operatori di ordine pubblico le più svariate professionalità…dai vigili urbani, alle guardie forestali, alle guardie private, all’esercito, alla polizia penitenziaria, ecc.
Poco più di un anno fa il Ministro della Giustizia all’atto del suo insediamento affermava che "…è necessario un nuovo codice penale che dia piena attuazione ai principi di legalità, tassatività e colpevolezza;… che preveda un’ ampia depenalizzazione delle figure contravvenzionali, nell’ottica di un diritto penale minimo ma efficace…. che si esca dalla logica per cui le uniche sanzioni penali sono la reclusione, l’arresto e/o le pene pecuniarie, occorre proporre soluzioni innovative rispetto al sistema attuale per numerosi reati di minor allarme sociale si dovrà prevedere un complesso di pene diverse dalla detenzione in carcere………che vengano incentivate, inoltre, le condotte di riparazione dell’offesa e di risarcimento del danno, da considerarsi non solo quali circostanze attenuanti ma, per alcuni specifici reati, anche quale causa di non punibilità, il tutto nell’ottica di rendere effettiva la funzione rieducativa della pena. ….Inoltre, che si tenga conto dei lavori delle Commissioni giustizia di Camera e Senato che, nelle scorse Legislature, hanno elaborato testi su istituti come la "messa in prova" che ha già dato risultati positivi nel processo minorile e che, con le adeguate modifiche, era stato previsto anche per i maggiorenni in un testo approvato nella scorsa Legislatura della Commissione di una sola Camera…."
Oppure da dichiarazioni successive effettuate in occasioni pubbliche sempre da parte del Guardasigilli che fa sapere di voler presentare in Parlamento un "….pacchetto organico di proposte che serva a rendere la giustizia uno strumento più credibile e più efficace, provando a ridefinire i margini, l’effettività e i modi del suo intervento". In questo senso, l’indulto ha avuto "la funzione e il merito di azzerare una condizione di sofferenza e di illegalità che affliggeva le carceri". Sarebbe stato molto più semplice lasciare la situazione invariata e magari costruire nuove carceri, facendo credere all’opinione pubblica che la sicurezza dei cittadini passasse dall’elevato numero di reclusi". Al contrario, "bisogna avere il coraggio di dire alla gente che quel numero elevato, se non accompagnato dalla stabilità della detenzione, ma anzi espressione di un fenomeno di flusso, ossia sottoposto ad un ricambio costante di presenze, non solo non giova alla sicurezza, ma rischia di nuocervi".
Fenomeno, quello del turn-over carcerario, confermato anche dai dati forniti dal Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria: "nelle 205 carceri italiane, ogni anno entrano circa 90mila detenuti e dopo un anno ne escono 88mila. Sempre secondo il Dap, l’indulto non ha responsabilità (se non per il 10 per cento) in questo "endemico meccanismo" di flusso di ingresso e di uscita dagli istituti di pena…..che il carcere come risorsa "deve essere riservato a chi è realmente pericoloso".
Sempre secondo il Ministro della giustizia, bisogna lavorare per far sì che i reati "per i quali è possibile una scelta diversa dal carcere, evitino a chi li commette di trascorrere pochi ed inutili giorni di detenzione, magari in custodia cautelare", infatti, "non bisogna dimenticare i limiti strutturali del sistema penitenziario che, se troppo affollato, finisce inevitabilmente per togliere spazio ai soggetti che appaiono realmente e concretamente pericolosi per la società".
Come si sia potuti passare nel giro di pochi mesi dalle dichiarazioni sopra riportate a quelle fatte sulla sicurezza di questi giorni.... è un mistero.
Lo stesso Capo del DAP Ettore Ferrara alla festa del corpo della pol.pen. lo scorso 20 settembre dichiarava che"…Il carcere dei giorni nostri è divenuto luogo di raccolta delle espressioni del disagio sociale e si caratterizza infatti sempre più per la transitorietà delle permanenze - in ragione di un turn-over di circa 100.000 detenuti all’anno -; per la presenza di patologìe, anche infettive, conseguenza di stili di vita inadeguati; per la presenza, sempre più massiccia di soggetti stranieri.. I detenuti stranieri presenti nei nostri istituti, che negli anni novanta non superavano la percentuale media del 15%, oggi rappresentano il 36,55% del totale dei ristretti, che in questi giorni risultano essere circa 45.995….."
Perché allora si decide di investire solo in più polizia e la finanziaria, che doveva capitalizzare più risparmi possibili, prevede l’assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria? Ma non avevamo il più alto rapporto in Europa tra poliziotti e detenuti? Già oggi il rapporto è quasi di uno a uno, quindi perché un ulteriore aumento? perché nessuno mette più in discussione l’utilizzo della Pol. Pen. negli uffici dell’A.P. a svolgere ruoli amministrativi che nulla hanno a che fare con i compiti di istituto, al posto dei previsti civili? Ricordo ancora quanto si diceva nei dibattiti precedenti al voto, che sarebbe stato prioritario fare pulizia di tutti i privilegi e le sacche di clientelismo che si annidavano nell’A.P., che fine hanno fatto quei buoni propositi?
Appare paradossale che alcuni sindaci di grandi città richiedano: maggiori poteri in tema di sicurezza, confondendola con il bisogno di maggiore legalità e il governo stia rispondendo con provvedimenti che prevedono il ricorso al carcere come unica risposta ai problemi di devianza sociale. Ancora una volta, e questa volta da parte di un governo che si definisce di centro sinistra, si risponde con interventi di ordine pubblico a problemi della società che hanno visto negli ultimi decenni una contrazione progressiva del sistema di sicurezza sociale fino ad arrivare ad un vero e proprio smantellamento del welfar-state:
riducendo la spesa sociale a scapito della salvaguardia dei diritti dei cittadini;
affermando una visione economicistica, riduttiva e banalizzante della società;
illudendosi che lo spostamento dei costi da un’organizzazione (servizi sociali) all’altra (polizia) possa corrispondere ad un risparmio e alla soluzione dei problemi sociali.
Man mano che diminuisce la spesa sociale, invecei, si afferma sempre più la necessità di controllare i soggetti più deboli, aumentando norme che vanno ad incrementare il sistema del controllo sociale e con questo l’uso del sistema penale, ma questo spostamento della spesa sociale non è affatto indice di una società matura e forte, ma al contrario rivela una società piuttosto fragile.
Una società che sente il bisogno di usare la forza per garantire la sicurezza dei propri cittadini e non è capace di gestire le proprie paure attraverso l’inclusione della diversità e la ricerca di soluzioni adeguate, dimostra tutta la sua impotenza di fronte a questi problemi.
Come Consiglio CASG, come assistenti sociali, che lavorano a diretto contatto con i problemi del mondo penitenziario non possiamo non condividere la seguente impostazione:"…..Sicurezza sociale significa costruire le condizioni di vivibilità nell’ambiente in cui si abita e cogliere gli aspetti critici che queste situazioni urbane e sociali presentano, per poterle affrontare. La sicurezza sociale dovrebbe lavorare in particolare sulle situazioni di disagio, di emarginazione, proprio per eliminarle e per includere coloro che sono esclusi nella situazione reale.
Tutte le persone che non "tornano" con la politica complessiva delle attuali leggi o dell’organizzazione dei servizi (i tossici, gli stranieri senza arte né parte, o con arte e parte ma sempre stranieri, quelli che vivono nella precarietà, le persone che hanno problemi di ordine psichico, di insufficiente integrazione sociale) non possono essere allontanate a colpi di scopa (o di decreto) che le spazzano via e le mettono al margine.
È evidente che il problema della sicurezza non va sottovalutato; ma va affrontato con politiche corrette poiché, se lo si affronta bene, si vede che non c’è nessun conflitto tra sicurezza e altri interessi, tra integrazione e diritti dei cittadini. Si può scoprire che queste contraddizioni possono coesistere e sostenersi l’una con l’altra. Ovviamente ci sono delle differenze tra una politica e l’altra. Noi sosteniamo quelle che si ispirano ai principi della Costituzione, della solidarietà, dell’integrazione, della responsabilità di ogni soggetto coinvolto, per trovare insieme soluzioni che diano qualità alla sicurezza. Così la sicurezza non sarà solo un enunciato che rischia, come in questo giorni di insistenza mediatica, di risuonare come parola vuota di contenuti se non è articolata da sanzioni e provvedimenti intelligenti; laddove siano necessari….
Se i problemi veri sono questi, ci chiediamo perché l’attuale Ministro della Giustizia C. Mastella abbia sentito il bisogno tra i primi propositi del suo dicastero, quello di istituire i commissariati di Pol. Pen. sul territorio con specifici compiti di controllo sulle misure alternative al carcere.
Lo stesso Ferrara sostiene che: "….mentre viene richiesto alla Polizia Penitenziaria un impegno diretto sul fronte del contributo alla sicurezza e del contrasto alla criminalità, in una serie di attività che trovano sede al di fuori delle mura carcerarie, allo stesso tempo è il carcere stesso a chiedere che siano sviluppate nuove sensibilità professionali e nuove specializzazioni….."
Sarebbe troppo facile un'operazione di maquillage dove basta invertire le sedi di lavoro degli operatori per far funzionare le cose. Ma le cose nella realtà non stanno così come si desiderano: all'esterno, i percorsi di inclusione non si mantengono con il puro e semplice controllo, ma è la sensibilità e la specializzazione professionale dell'operatore sociale a far si che il percorso di inclusione si avvii, si consolidi e diventi normalità.
E' sul welfare che si deve investire se ci vogliamo avvicinare al primato della Norvegia, se decidiamo di non ingannare più i cittadini, inseguendo e rafforzando le loro paure, che hanno radici molto più complesse di quelle che appaiono in superficie.
Ci chiediamo ancora oggi, attoniti, su come si sia potuti arrivare a simili conclusioni, in considerazione del fatto che tutte le analisi fatte in questi anni dalle forze politiche sindacali e associative, oggi al governo, ieri all’opposizione, avevano messo in evidenza che i problemi di esclusione e deprivazione sociale sono tra le prime cause di aumento della popolazione detenuta e della recidiva, quindi è nel sociale che vanno individuate le opportune soluzioni, non già in ulteriori forma di controllo e repressione.
Si è aperto, su questo argomento, un grosso dibattito e assieme al Casg tantissimi Uepe, organizzazioni di volontariato, Magistrati hanno dimostrato un forte dissenso, convinti che con queste modalità vengano estese al territorio le stesse logiche del carcere.
Le conseguenze del nuovo assetto di controllo, logica fallimentare perchè non inclusiva, avrà quale risultato:
aumento notevole dei costi per la collettività. Non si tratta di aumentare solo il numero di poliziotti sul territorio (dato che potrebbe risultare utile ai fini preventivi generali) ma, si sta parlando di un nuovo corpo di polizia che si aggiunge a quelli già presenti. Conseguentemente sarà necessario prevedere, mezzi, strutture organizzative, supporti tecnici, completamente nuovi;
spostamento dell’attenzione prevalentemente sul controllo, penalizzando politiche che favoriscano l’inclusine sociale dei condannati;
particolarmente per gli affidamenti in prova, prevarranno i controlli formali di polizia su quelli sostanziali, di valutazione complessiva dell’andamento della misura, propri del Servizio sociale.
Chissà se questi argomenti, se questo convegno, se questo dibattito è ancora materia di interesse per chi poi prende importanti decisioni in politica, nel settore sociale... oppure se la parola d'ordine "tolleranza zero" è ormai entrata nel vocabolario di tutti e il resto scivola addosso senza fermarsi, senza chiedersi perchè ci sono persone che propongono punti di vista differenti.

venerdì 19 ottobre 2007

PIANO MARSHALL

Cgil; chiediamo un "Piano Marshall" per le carceri
di Mauro Beschi e Frabrizio Rossetti (F.P.-Cgil)
19 ottobre 2007
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto, l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella del pacchetto sicurezza "Amato" prefigura.
"Il numero dei detenuti cresce mediamente di mille unità al mese, per cui tra un anno e mezzo, se non accadrà qualche fatto nuovo torneremo alla situazione di prima dell’indulto"; a queste semplici dichiarazioni del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Dr. Ferrara occorre saper dare un’immediata risposta.
Risposta che non può ovviamente essere quella che il Guardasigilli si è affrettato a dare, la tesi per la quale senza "l’applicazione di quel provvedimento ci troveremo a quota 78 mila, quindi in una situazione devastante" per un sistema carcerario che non regge più.
Non che non sia giusto ricordare al Paese, alla Politica, al Parlamento la gravissima situazione in cui versavano le nostre carceri dopo la disastrosa gestione Castelli, ma è proprio da quella esperienza che bisogna saper uscire con un vero, organico, credibile piano "Marshall" sulla giustizia, penale e civile.
Il Ministro leghista riconsegnò al Paese più di nove milioni di cause pendenti, più della metà delle quali penali, tempi per i processi che mediamente si attestavano in 100 mesi, fra il delitto e l’appello; l’80% dei reati denunciati che rimanevano senza responsabilità accertate.
Il numero delle persone prese in carico dal sistema penale, prima dell’indulto, è cresciuto di sei volte: dai 35.000 del 1990 ai circa 200.000 del luglio 2006 (62.000 detenuti, 57.000 in misure alternative al carcere, 80.000 condannati in attesa del provvedimento esecutivo).
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti assolutamente risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione; al luglio 2006 il costo medio del detenuto era di circa 130 euro al giorno, di cui, più o meno, solo 15 euro spesi per "garantire" l’assolvimento del mandato che la Costituzione affida alla pena, la rieducazione.
La situazione, al netto degli effetti deflativi che il provvedimento di indulto ha comunque offerto al sistema carcerario, è rimasta la stessa, anzi, per ciò che attiene l’arretrato giudiziario, il provvedimento di indulto ha ingolfato ancora di più il sistema.
E allora che fare? Semplicemente applicare il programma dell’Unione sulla Giustizia e sulle carceri: riformare il codice penale - la Commissione "Pisapia" ha terminato i suoi lavori. A quando la formale presentazione dell’ipotesi di riforma e l’assunzione del necessario ddl da parte del Governo?; cancellare le cd. leggi vergogna del Governo Berlusconi visto che sono ancora intonse le leggi sulla recidiva (ex Cirielli), quella sull’immigrazione (Bossi-Fini), e quella sulle droghe (Fini-Giovanardi). La cosa inconcepibile è che non sembra enormemente complesso comprendere come queste leggi concorrano in maniera determinante al progressivo aumento della popolazione detenuta, caratterizzandola, sempre più, per la sua marginalità sociale; introdurre sanzioni penali diverse dal carcere per i reati di lieve entità e di minor allarme sociale; ricapitalizzare il sistema carcerario adeguandolo agli standard definiti dal regolamento penitenziario del 2000, mai applicato; valorizzare le professionalità penitenziarie evidenziando sempre più le caratteristiche sociali dell’intervento penale, in termini di reinserimento e rieducazione.
Un piano di interventi, quindi, già definito, concordato ed accessibile al Governo. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella che il pacchetto sicurezza cd "Amato" prefigura. Le carceri sono già piene di immigrati, di tossicodipendenti, di microcriminali ai quali la Ex Cirelli ha negato qualsiasi possibilità di riscatto. Vogliamo aggiungere a queste fasce di emarginazione sociale le nuove emergenze dei lavavetri, dei posteggiatori abusivi e dei venditori ambulanti? Possiamo continuare a sacrificare un’avanzata idea di legalità e sicurezza in nome di un artato e strumentale bisogno di semplice decoro sociale o urbano?
L’alternativa che Governo e Parlamento hanno davanti è quella, da un lato, di recuperare un analisi realistica e onesta dei problemi della sicurezza e ad essa far corrispondere una organica azione di riforma legislativa, giuridica ed amministrativa (il Programma dell’unione, appunto), oppure continuare nell’autolesionistico rincorrere le campagne di opinione, in un vortice che alimenta reciprocamente allarmi, paure e invocazioni repressive verso il quale nessuna scelta di Governo o intervento della responsabilità pubblica potrà mai risultare soddisfacente, diventare capace di sedare un ansia indotta da poderose domande di identità, da profondi spaesamenti, da anomie legate alla crisi della società globalizzata

giovedì 18 ottobre 2007

QUESTION TIME CAMERA 17/10/2007

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA
DANIELE FARINA - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: il ministero della giustizia ha presentato alle parti ed al sindacato una bozza di decreto nel quale annuncia l'intenzione di voler inserire ed utilizzare personale del Corpo di polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna, attraverso una fase di sperimentazione che si sarebbe dovuta concludere con un tavolo di confronto il 14 maggio 2007; era già stato fatto presente al ministero della giustizia che l'introduzione della polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna sembra debole, sia da un punto di vista normativo che giuridico. Le funzioni che gli vengono attribuite sono estranee, infatti, alle vigenti normative previste dall'articolo 72 dell'ordinamento penitenziario e dall'articolo 118 del regolamento di esecuzione; era stato fatto presente, altresì, che con questo decreto si aggravano pesantemente le condizioni di vita e di lavoro degli stessi operatori della polizia penitenziaria, già difficoltose data la carenza di personale e le scarse risorse finanziarie; è funzionale al sistema penitenziario e previsto normativamente dall'articolo 47, commi 9 e 10, che le attività di controllo e di recupero siano svolte in modo integrato da uno stesso operatore, in quanto esse stesse inscindibili e pertanto non gestibili da portatori di professionalità eterogenee; ad avviso dell'interrogante, non è comunque accettabile modificare una legge attraverso un decreto non avente natura di decreto legislativo delegato; non è accettabile presentare sotto forma di sperimentazione un modo di operare che - almeno per l'affidamento in prova - altererebbe in modo determinante il tipo di trattamento previsto dalla normativa; i costi per la collettività aumenterebbero in modo notevole perché non si tratta di aumentare solo il numero dei poliziotti sul territorio, ma si tratta di un nuovo corpo di polizia che si aggiunge a quelli già presenti; in questa maniera si rischia di spostare l'attenzione prevalentemente sul controllo, penalizzando politiche che favoriscano, al contrario, l'inclusione sociale dei condannati -: se non si ritenga grave introdurre una scissione, in fase trattamentale, nel rapporto tra la competenza di aiuto e quella di controllo, perno della misura alternativa stessa e innovazione fondamentale della nuova politica penitenziaria. (3-01347) (16 ottobre 2007)
In risposta all’interrogazione
Faccio in primo luogo presente che nel corso della stesura della bozza di decreto interministeriale riguardante l’inserimento del personale del Corpo di Polizia penitenziaria negli uffici di Esecuzione Penale Esterna, è stata posta massima attenzione alle osservazioni ed alle proposte pervenute dalle organizzazioni sindacali e dall’ordine nazionale degli assistenti.
Devo poi osservare che l’articolo 3, comma 1 lett. b), della legge 2005/154, attraverso un’integrale riformulazione dell’art. 72 dell’ordinamento penitenziario, ha istituito gli Uffici penali di esecuzione esterna, in luogo dei Centri di servizio sociale per adulti, fino ad allora esistenti. Il primo comma del nuovo articolo 72 dispone che gli uffici di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia, e che la loro organizzazione è disciplinata con un regolamento da adottare, da parte del Ministro, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 1988 /400.
Il comma 2 del nuovo articolo 72 dell’ordinamento penitenziario individua le competenze degli uffici di esecuzione penale esterna.
Per quanto qui interessa, va evidenziato che – accanto a competenze già stabilite in relazione ai centri di servizio sociale dal previgente art. 72, – gli uffici in questione “propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare”, e soprattutto “controllano l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca”.
In tale contesto normativo, radicalmente mutato rispetto alla situazione anteriore alla legge n. 154 del 2005, la bozza di decreto menzionata dall’interrogante prevede in via sperimentale l’inserimento di personale in forza alla polizia penitenziaria nelle attività di esecuzione penale esterna, in un modello operativo imperniato sul programma di trattamento ed inclusione sociale della persona ammessa alla misura alternativa.
In tale prospettiva, la bozza di decreto attribuisce alla polizia penitenziaria, prioritariamente rispetto alle altre forze di polizia, “la verifica del rispetto degli obblighi di presenza in determinati luoghi imposti alle persone ammesse alla misura alternativa alla detenzione domiciliare”. Quanto ai soggetti affidati in prova al servizio sociale e alla semilibertà, è invece previsto che l’attività di verifica in questione possa essere richiesta ed attivata, rispettivamente, dalla magistratura di sorveglianza e dal direttore dell’istituto penitenziario. Ritengo, quindi, di poter fugare i timori evidenziati dall’On. Farina, sottolineando che i compiti di verifica della Polizia Penitenziaria consistono, unicamente, nell’accertare la presenza, in determinati luoghi, del detenuto domiciliare, ovvero - se richiesto dalle menzionate autorità - degli altri soggetti ammessi a misure alternative, senza intaccare i profili concernenti l’attività propria dello specifico assistente sociale investito del caso, che anzi deve essere necessariamente sentito in sede di preparazione dell’ordine di servizio relativo all’attività di verifica.

QUESTION TIME CAMERA 17/10/2007

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
PISICCHIO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: la ragione fondamentale per cui il Parlamento si determinò nel 2006 alla decisione di approvare il provvedimento di indulto, che realizzò lo sconto di pena per più di ventimila condannati in stato di detenzione, venne dettata dalla constatazione dell'abnorme e insostenibile sovraffollamento delle carceri italiane, che - di fatto - rendeva incompatibile la pena con i principi sanciti nell'articolo 27 della Costituzione, relativi all'umanità delle pene e alla loro finalizzazione tesa alla rieducazione; il provvedimento di clemenza applicato ai condannati per reati di minore allarme sociale, dunque, apparve alla maggioranza dei parlamentari come l'unica alternativa praticabile alla mancanza di spazio vitale nelle carceri, considerato che da lunghi anni non venivano più edificati nuovi istituti di pena; a fronte delle motivazioni che sostennero le scelte del Parlamento nella decisione non facile di adottare l'indulto e a fronte anche della mancanza di nuovi interventi di edilizia carceraria, appaiono in stridente contrasto le informazioni che i mass media in queste ultime settimane hanno divulgato circa ventitré carceri distribuite su tutto il territorio nazionale, finanziate, realizzate in tutto o in grandissima parte, in alcuni casi persino arredate con suppellettili ed ogni altro necessario elemento strutturale e poi abbandonate al degrado; si tratterebbe di penitenziari e case circondariali situate a Revere in Lombardia, a Codigoro in Emilia Romagna, a Pescia e Montremoli in Toscana, a Capanne in Umbria, a Gragnano in Campania, a San Valentino in Abruzzo, a Mileto e Propalati in Calabria, a Gela e Villalba in Sicilia, a Monopoli, Minervino Murge, Accadia, Bovino, Castelnuovo della Daunia, Volturara Appula in Puglia, Arsina, Rotondella, Lagonegro, Pisticci, Avigliano, Chiaromonte in Basilicata, senza contare le numerose strutture finanziate, costruite e poi non più utilizzate coerentemente alla destinazione originaria, come il carcere di Monopoli in provincia di Bari o di Tempio Pausania in Sardegna, solo per citare alcuni casi; si tratta di informazioni allarmanti, testimonianze di sprechi ingenti - si pensi che solo l'edificazione delle strutture carcerarie della Basilicata sarebbe costata non meno di 32 milioni di euro - che lasciano allarmato il cittadino ed anche il legislatore -: quali urgenti interventi il Ministro interrogato intenda assumere per chiarire alla pubblica opinione e al Parlamento l'effettivo stato dell'edilizia carceraria, con riferimento particolare ai casi denunciati dai mass media. (3-01345) (16 ottobre 2007)
D'ELIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: nel nome della «certezza della pena», è in atto una campagna allarmistica sull'aumento dei reati in Italia volta a rimettere in discussione la stessa «legge Gozzini» -: quali siano i dati sulla recidiva relativi ai beneficiari dell'indulto, quanti siano i detenuti ammessi alle misure alternative e ai benefici penitenziari (semilibertà, lavoro esterno, liberazione condizionale, permesso premio) e quali siano i dati relativi alla recidiva e alla revoca di misure e benefici per commissione di nuovi reati e/o in ottemperanza agli obblighi, rapportati ai dati della cosiddetta «recidiva ordinaria», cioè dei detenuti usciti dal carcere senza aver usufruito di misure e benefici penitenziari, tutto ciò comparato ai dati registrati in altri Paesi europei. (3-01346) (16 ottobre 2007)

Il Ministro Mastella Risponde -

All'On.DELIA
Fare chiarezza su tutto ciò che è artatamente distorto è un privilegio che spetta a pochi. In questa occasione intendo esercitare questa facoltà perché ritengo quasi doveroso per un Ministro della Giustizia recidere le connessioni, a mio parere ingiustificate, che ultimamente abbinano la legge Gozzini all’indulto ed alla recidiva.
La legge n. 663 del 1986 che ha riformato l'ordinamento penitenziario e che tutti conosciamo come legge Gozzini è stata introdotta con il chiaro fine di umanizzare le pene nei confronti dei condannati a una pena non superiore ai tre anni. Si tratta di una finalità perseguita anche dalla Costituzione all’art. 27, per cui non credo che si possa discutere della sua attualità o della sua efficacia senza che tutte le forze politiche abbiano avuto la possibilità di esprimersi nel comune interesse della tutela dei cittadini.
Per quanto mi riguarda, non credo che la sola repressione possa garantire la sicurezza, ma ciò non significa che io non sia aperto al dibattito o che non voglia farmene promotore.
Quanto all’indulto ed alla recidiva ritengo di non esasperare i toni del mio discorso se pongo
l’accento sulla arbitraria ed ossessiva correlazione che ultimamente viene fatta tra i due istituti.
Anche in questo caso si è cercato di legare cose, fatti o persone a fenomeni o ad eventi, ed anche in questo caso il risultato è stato quello di determinare l’assimilazione tra i concetti, indipendentemente dalla veridicità o meno del collegamento. Ricordo a tutti ed anche a me stesso, che l’indulto è un atto di clemenza di carattere generale, mentre la recidiva è una circostanza di carattere strettamente personale che non determina un beneficio, bensì un aumento della pena per chi, dopo essere stato condannato, commetta un altro reato.
Sulla base di queste premesse non credo che si possa stabilire un rapporto di causa ed effetto tra la concessione dell’indulto o delle misure alternative al carcere ed il rischio di ricaduta nel reato.
Si tratta di una equivalenza che non trova supporto né sul piano giuridico né su quello sociologico
visto che l’uscita prematura dal circuito penitenziario dovrebbe favorire, soprattutto per i soggetti con un basso numero di esperienze detentive, il reingresso progressivo nella società attiva.
Detto questo, rappresento che in considerazione del breve tempo a disposizione e, soprattutto della complessità dei dati da rilevare, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non ha potuto raccogliere tutte le informazioni richieste.
Risulta, invero, che dei 26 mila circa soggetti beneficiari dell’indulto, soltanto circa 6 mila sono rientrati in carcere in un arco di tempo di un anno e tre mesi. La recidiva si assestava al 48% prima dell’indulto, mentre un anno dopo la presenza di recidivi in carcere era pari al 42% del totale, inclusi in tale dato i detenuti usciti dal carcere a seguito dell’indulto e poi nuovamente arrestati. Non è stato, invece, possibile acquisire i dati relativi alla recidiva ed alla revoca delle misure e benefici per commissione di nuovi reati, né, ovviamente, è stato possibile compararli con quelli di altri paesi europei. Su questi punti mi riservo di riferire in prosieguo a rilevazione ultimata.

ALL' ON. PISICCHIO
In risposta all’interrogazione dell’On. Pisicchio, preciso che dei 25 istituti cui l’interrogante si riferisce, la gran parte è costituita da case mandamentali.
Questa tipologia di istituti (350 in totale), costituita da immobili di proprietà dei Comuni, è stata soppressa, e i relativi edifici, in numero di 329, sono stati restituiti ai Comuni proprietari, mentre per i rimanenti 21 è stata mantenuta la destinazione penitenziaria. Tra gli istituti soppressi, e restituiti ai Comuni proprietari degli edifici, vi sono quelli di Pescia, Villalba, Monopoli, Minervino
Murge, Accadìa, Castelnuovo della Daunia, Volturara Appula, Rotondella, Lagonegro, Avigliano, Chiaromonte, ai quali l’interrogante fa riferimento.
Quanto agli altri 21, quello di Gela è stato oggetto di lavori da parte del Comune proprietario, completatisi in questi i giorni e per il quale la riconsegna all’Amministrazione penitenziaria è prevista per il 26 novembre prossimo.
Gli altri sono regolarmente aperti e funzionanti, fatta eccezione per quello di Pontremoli, solo temporaneamente chiuso per destinarlo a una nuova e diversa tipologia di detenuti, e quelli di Bovino, Codigoro, Mileto, Revere, San Valentino in Abruzzo, Morcone ai quali pure si riferisce l’interrogazione. Per questi istituti si previde nel 2003 la dismissione mediante il ricorso allo strumento della permuta, ma è mia intenzione procedere alla riapertura di tutti questi istituti, malgrado il non ottimale rapporto tra la loro capienza e il loro costo.
Ritengo infatti che in questa materia il criterio meramente economico non possa essere la sola guida delle decisioni del Ministro.
Quanto alle case circondariali di Capanne (Perugia) Gragnano e Tempio Pausania, la prima risulta funzionante; mentre la seconda, realizzata dal Comune, fu soppressa nel 2003 perché pericolante, in quanto edificata su suolo cavernoso; la terza è stata ristrutturata dal Comune di Tempio e, in attesa del collaudo, il D.A.P. ha avviato le procedure per l’assegnazione del personale.
Devo comunque sottolineare che i tagli alla spesa pubblica hanno reso esigui i fondi utilizzabili per procedere a interventi di ampliamento e ristrutturazione (nel periodo 2001/2006 i fondi per la manutenzione ordinaria si sono ridotti ad un terzo, mentre quelli per le ristrutturazioni ed ampliamenti si sono ridotti del 50%).
Quanto poi alla costruzione di nuovi istituti penitenziari, la competenza è del Ministero delle Infrastrutture, e pertanto qualsiasi rilievo sui tempi di realizzazione ex novo di istituti penitenziari non può essere mosso alla mia amministrazione.
In ordine alle iniziative intraprese da questo Ministero, è stato già varato ed è in via di attuazione un ampio programma di recupero e ristrutturazione di tutti gli istituti, precedentemente del tutto o parzialmente inutilizzati, o comunque suscettibili di ampliamento.
Più in particolare, mentre sono già in corso di esecuzione o di appalto interventi per la realizzazione di circa 3.300 posti di detenzione, il programma per l’edilizia penitenziaria elaborato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria prevede, per il triennio 2007/2009, la realizzazione di circa ulteriori 4.000 nuovi posti, tutti a norma con le prescrizioni del regolamento penitenziario vigente, con interventi di esclusiva competenza di questo Ministero.

QUESTION TIME ALLA CAMERA

ALLE 15,00 QUESTION TIME CON I MINISTRI CHITI, FIORONI, MASTELLA, BERSANI (17-10-2007)
Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, risponderà ad interrogazioni sull’applicazione dell’articolo 600-bis del codice penale e misure per contrastare il fenomeno della prostituzione minorile; sullo stato dell’edilizia carceraria, con particolare riferimento alle recenti notizie relative all’esistenza di carceri ultimate ma non utilizzate; sui dati relativi alla recidiva da parte dei beneficiari dell’indulto e alla concessione di misure alternative e benefici penitenziari; sulla bozza di decreto ministeriale relativo all’utilizzo del personale del Corpo di polizia penitenziaria negli uffici dell’esecuzione penale esterna; sulle iniziative per prevedere un’adeguata pena a carico di coloro che provocano incidenti stradali guidando in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe e, infine, sull’utilizzo dello strumento del credito d’imposta per l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato da parte delle imprese.
interrogazione:
Stato dell'edilizia carceraria, con particolare riferimento alle recenti notizie relative all'esistenza di carceri ultimate ma non utilizzate (Pisicchio - Italia dei Valori); ;dati relativi alla recidiva da parte dei beneficiari dell'indulto ed alla concessione ai detenuti di misure alternative e benefici penitenziari (D'Elia Rosa nel Pugno); schema di decreto ministeriale relativo all'utilizzo del personale del Corpo di polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna (Farina - Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)-

mercoledì 17 ottobre 2007

SAPPE

Sappe; classe politica sorda ai problemi del paese
Comunicato stampa, 17 ottobre 2007

"L’allarme lanciato ieri dal Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara sul grave affollamento delle strutture carcerarie del Paese e sulle negative ricadute che esso produrrà nel sistema penitenziario conferma ciò che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria sostiene ormai da troppo tempo. Ed è grave che la classe politica e di Governo non abbiano recepito per tempo i nostri allarmi. Gli stessi dati sull’indulto evidenziano come non siano stati affatto programmati dal Governo quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori socialmente utili non retribuiti. Di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Era davvero necessario ripensare il carcere, ma dobbiamo constatare che nulla di tutto ciò è stato fatto. E l’allarme lanciato ieri da Ferrara lo conferma".
È il commento della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, alle parole di ieri del Capo Dap Ettore Ferrara sul possibile prossimo sovraffollamento dei penitenziari italiani.
"Nessuno ci ha ascoltato e l’allarme carceri è di nuovo una priorità" denuncia Donato Capece, segretario generale Sappe. "Il giorno stesso dell’approvazione dell’indulto da parte del Parlamento chiedemmo alla classe politica e di Governo, in linea con quanto affermò anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, di adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario. Nessuno ha fatto nulla. La classe politica e governativa non hanno fatto seguire all’indulto i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. A cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa".
"Per risolvere i problemi del carcere e dei poliziotti penitenziari" conclude Capece "l’indulto, da solo, non è bastato. Non è bastato nonostante dell’indulto ne avessero beneficiato quasi 35mila persone (27mila quelle ristrette nelle carceri, 8mila già beneficiarie di misure alternative alla detenzione e quindi materialmente fuori dal carcere a scontare una pena). Oggi stiamo tornando alle cifre allarmanti rispetto alle quali venne deciso proprio il provvedimento di clemenza. Ed a pagarne lo scotto maggiore, oltre ai cittadini, sono le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno in servizio nelle sezioni detentive delle carceri. La recriminazione maggiore è proprio questa. Non avere nel Paese una classe politica e di Governo in grado di comprendere che era allora, approvato l’indulto, il momento di ripensare il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti più volte anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

IL GIORNALE

Giustizia: Osapp; troppe poche risorse e molta propaganda
di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
17 ottobre 2007

"Da questa amministrazione abbiamo avuto solo tante chiacchiere e tanta propaganda. Ma al di là di vuote affermazioni di principio, in concreto non si fa niente". Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, non nasconde il suo scetticismo sull’ultima idea di Mastella: utilizzare la polizia penitenziaria per i controlli dei detenuti in esecuzione penale esterna. "La proposta - spiega il sindacalista - è legittima, il nostro corpo ha la competenza e la professionalità per svolgere questo compito. Ma il ministero vuol farlo senza prevedere alcun incremento d’organico e senza garantire la copertura finanziaria. Insomma, come sempre si mette il carro davanti ai buoi".
E i "buoi", anche volendo spingere, sono un po’ pochini. "Per farci carico di queste mansioni, che tra l’altro ci spetterebbero per legge, abbiamo bisogno di altri 6-7mila uomini", sospira Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe. Capece rivendica quelle competenze, ma avverte Dap e Guardasigilli: "Così come stiamo, non ci bastano gli uomini per garantire la sicurezza all’interno delle carceri che tornano rapidamente a riempirsi. Saremmo lieti di creare i nuclei di verifica sul territorio affidati alla polizia penitenziaria, ma è tempo di aumentare il personale". Anche perché "al momento in Italia abbiamo 100mila persone che scontano una pena in esecuzione esterna: controllarli è un nostro compito, ma ci vogliono gli uomini per poterlo fare, altrimenti la sperimentazione in accostamento a polizia e carabinieri servirà a poco".
"Siamo l’unico corpo di polizia che dal ‘91 non ha un incremento di organico, mentre nello stesso periodo i detenuti sono cresciuti almeno del 40 per cento, e il rapporto, per i compiti di custodia, è sbilanciato: ci sono strutture dove, di notte, c’è un solo agente per 200 detenuti. E quanto alle carceri inutilizzate, come si può pensare di aprirle se non c’è il personale?", rilancia Beneduci.
Che ricorda come anche l’indulto mastelliano abbia portato "danni seri" a chi lavora nelle carceri: "Era quasi meglio prima, quando la situazione era al collasso e le condizioni nei penitenziari indecenti. Quel provvedimento - prosegue il sindacalista - doveva dare due anni di tempo per riformare il sistema, attuare riforme come quella del codice penale, la differenziazione degli istituti, la depenalizzazione di determinati reati. Invece siamo quasi al punto di prima e non è stato fatto nulla, solo parole e una grande confusione. E la polizia penitenziaria continua a essere considerata una manodopera a basso costo, buona per tutti gli usi ma senza ottenere il riconoscimento del ruolo e della dignità che spettano al nostro corpo".

Sole 24ore

Giustizia: il dilemma; più carcere o più misure alternative?
di Donatella Stasio
17 ottobre 2007
Qual è il volto della nostra giustizia? Quello delle Erinni, le dee vendicatrici, o quello delle Eumenidi, le dee benevole? Con il "pacchetto sicurezza", il Governo fa la faccia feroce e punta sul carcere per arginare un certo tipo di criminalità diffusa (furti, scippi, rapine senza armi, incendi boschivi), che non merita né sconti di pena né misure alternative alla detenzione.
Ma la politica penitenziaria ha una faccia più benevola: dopo l’indulto, si punta proprio sulle misure alternative al carcere sia per evitare il ciclico sovraffollamento delle patrie galere sia per favorire il reinserimento del condannato nella società. Una benevolenza giustificata dall’esperienza, visto che per i detenuti che hanno beneficiato di misure alternative alla detenzione il tasso di recidiva è inferiore al 20%, mentre per gli altri è di circa il 60-65 per cento.
Governo bifronte? Certo è difficile non cogliere una contraddizione. Da un lato si punta al carcere, escludendo la sospensione automatica dell’esecuzione della pena; dall’altro lato si auspica che la magistratura di sorveglianza sia più larga di manica nella concessione ai detenuti delle misure alternative; tanto che, per incoraggiarla, l’amministrazione penitenziaria sta sperimentando l’utilizzo di agenti di polizia penitenziaria per vigilare sui detenuti beneficiari di queste misure.
Dopo l’indulto e le polemiche che si è trascinato dietro, il Governo non può più permettersi una nuova emergenza carceraria. Tuttavia, il rischio è concreto, se è vero che la popolazione carceraria aumenta al ritmo di mille unità al mese, per cui tra un anno potremmo tornare alla quota, pre-indulto, di 60mila detenuti. Un rischio tanto più concreto se il Governo deciderà di andare fino in fondo sulla strada del "pacchetto sicurezza", ovvero di una politica in cui la "certezza della pena" sembra declinata essenzialmente in termini di "più carcere": dalla custodia cautelare "obbligatoria" per tutta una serie di reati, alla possibilità di essere arte-stati subito dopo la condanna di primo grado, fino all’esclusione (per le condanne entro i 3 anni) di ogni misura alternativa alla detenzione.
Non solo. Ieri Mastella ha detto che la parola d’ordine dovrà essere anche "severità", e non ha escluso che si possa abbassare a 16 anni la soglia della punibilità dei minori. Per ora, la sua, è solo un’idea, che forse si ispira alla riforma approvata in Francia il 26 luglio di quest’anno, con cui è stato intaccato uno dei capisaldi posti dal 1945 a tutela dei minori: a partire dai 16 anni, in caso di recidiva non sarà più applicabile l’attenuante della minore età.
Se Sarkozy diventerà l’esempio da imitare, anche per i minori la maggiore severità potrebbe tradursi in "più carcere": un ulteriore contributo al sovraffollamento delle patrie galere...
A chi gli ha chiesto se non vi sia una contraddizione tra una politica della sicurezza che punta in modo inflessibile al carcere e una politica penitenziaria che, per evitare il sovraffollamento e assicurare un minimo di vivibilità, punta invece sulle misure alternative, Mastella ha risposto che il problema va ricercato, semmai, nell’eccessiva presenza di detenuti extracomunitari clandestini, poiché rappresentano il 40% della popolazione carceraria. Quindi, "con una modifica della legge Bossi-Fini la situazione potrebbe essere diversa". Un rimedio parziale, e che comunque stenta a prendere forma.
Ma il problema non è solo il sovraffollamento delle carceri. È capire se il Governo pensa davvero che il carcere sia la risposta migliore all’esigenza di sicurezza avvertita nel Paese e la strada maestra per il reinserimento del detenuto nella società. "I sistemi alternativi possono essere molto più produttivi - ha osservato ieri Gherardo Colombo, l’ex pm di Mani pulite che ha detto addio alla magistratura - e per chi sta in carcere la sanzione non deve essere solo un castigo, ma una strada per ripresentarsi legittimamente agli altri".
In fondo, anche Mastella la pensa così quando ammette che la "certezza della pena può essere garantita anche con modalità alternative al carcere". Allora, bisogna scommettere sulla giustizia, più che sulla vendetta. Come insegna Eschilo nell’Orestea, quando le Erinni placano la loro ira, accettando di trasformarsi nelle più concilianti Eumenidi. "Con questo lieto fine - scrive Francois Ost, filosofo del diritto nonché Direttore dell’Académie européenne de Teorie du droit - Eschilo dimostra che è possibile sottrarsi all’oscura necessità di un destino di colpe e di sventure: anche se per questo occorre che i cittadini coltivino il timore della punizione e il rispetto delle leggi".

LA REPUBBLICA

Giustizia: Ferrara (Dap); concedete di più misure alternative
17 ottobre 2007

Il dato è innegabile. Dall’inizio dell’anno il numero dei detenuti ha subito un aumento repentino. A fine gennaio erano 39.827, e se ne contano 46.986 al 16 ottobre. Cioè a ieri.
Non sono proprio i mille carcerati in più di cui parla il direttore del Dap Ettore Ferrara, ma poco ci manca. È un dato che allarma gli esperti del ministero della Giustizia che si sforzano di ragionare sulle dinamiche complessive della popolazione penitenziaria in Italia e sugli effetti di uno sconto di pena di tre anni come l’indulto.
Tant’è che il sottosegretario Luigi Manconi, delegato a seguire proprio il pianeta penitenziario e che aveva commissionato una ricerca al l’università di Torino e ne aveva presentato i risultati a febbraio, adesso è intenzionato a chiederne un aggiornamento.
Che ragioni anche sui flussi di chi entra e chi esce dalle carceri, 90.714 persone nel 2006, una media costante negli anni di 80-90mila unità, con un residuo di permanenza di due - tremila che rimangono dentro. Ma nel 2007 la situazione cambia.
Colpa dell’indulto o di una sorta di "ossessione" della galera a tutti i costi che prende forze dell’ordine e magistratura? Fa riflettere un’affermazione fatta ieri proprio da Ferrara. Subito dopo la rivelazione sui "mille detenuti in più" eccolo dichiarare: "Abbiamo sollecitato i Magistrati di Sorveglianza ad applicare, in tutti i casi in cui è possibile, misure alternative al carcere, basandoci anche sui dati a disposizione a proposito della recidiva: si attesta sul 20% per chi sconta la pena con misure differenti rispetto al carcere, sale invece fino al 60% per chi invece è finito in cella".
E dunque non sbaglia chi, come Stefano Anastasia, un passato ai vertici dell’associazione Antigone, ora capo di gabinetto di Manconi, difende le ragioni dell’indulto e fa un paragone sta quello che sta accadendo in questo mesi e lo stesso fenomeno che si verificò nel 1999 dopo l’allarme omicidi a Milano e il lavorio intorno al pacchetto sicurezza del governo D’Alema: "Anche allora - ricorda Anastasia - ci fu un picco nel numero dei detenuti, che aumentarono rapidamente di oltre mille unità".
Le ragioni? Di sicuro la pressione dell’opinione pubblica e della stessa politica su tutte le agenzie della sicurezza, sugli agenti e sui giudici, per "tenere dentro" il maggior numero possibile di persone, la mano dura sulle aggravanti, la stretta sulle misure alternative. In una parola, il bisogno di maggiore sicurezza si traduceva in un maggior numero di detenuti.
La campagna contro l’indulto ha prodotto anch’essa più gente in cella. Anche se i dati sui recidivi, elaborati nella ricerca torinese per il periodo agosto 2006 - gennaio 2007, quello in cui si è verificato il picco più alto delle scarcerazioni (25.565 detenuti messi in libertà, di cui 15.815 italiani e 9.750 stranieri), dimostrano una media complessiva attestata sul 20 per cento. Di gran lunga inferiore alla media rilevata negli ultimi cinque anni - il 68% - che prescindeva dallo sconto di pena.
Ma in futuro la "voglia di carcere" non può che peggiorare. Basta riflettere sul pacchetto sicurezza che i ministri dell’Interno e della Giustizia si apprestano ad approvare a Palazzo Chigi proprio venerdì: lì si prevede una custodia cautelare "obbligatoria" che avrà come effetto soprattutto quello di far schizzare ancora più in alto il numero dei detenuti.

Corriere della Sera

Carceri piene tra un anno»
Il Dap: «Senza interventi strutturali, torneremo a una situazione di
sovraffollamento»

MILANO - «Nell’arco di un anno e mezzo, se non accadrà qualche fatto nuovo e senza interventi strutturali, torneremo alla situazione di prima dell’indulto», cioè all'«inevitabile sovraffollamento delle carceri». A denunciarlo è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, in una conferenza stampa al ministero della Giustizia. D’accordo con lui anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. «Figuratevi cosa sarebbe successo - ha detto - senza l’indulto».MILLE NUOVI DETENUTI AL MESE - Nel corso della conferenza stampa, il capo del Dap ha spiegato che «dopo l'indulto la crescita della popolazione carceraria è di non meno di mille unità al mese». «Noi - ha aggiunto Ferrara - stiamo cercando di fare qualcosa per alleggerire la situazione». Fra le iniziative messe in campo dall'amministrazione penitenziaria, il direttore del Dap ha posto l'accento sullutilizzo della polizia penitenziaria «per l'attività di sorveglianza delle persone soggette a misure alternative alla detenzione, in maniera da spingere i magistrati di sorveglianza ad avvalersi di questa possibilità». Dal canto suo, invece, il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha fatto notare che «matematicamente parlando, senza l’indulto, oggi saremmo arrivati ad una popolazione carceraria di 78mila detenuti». Una situazione dunque che sarebbe stata «incontrollabile e disastrosa». «Mi auguro - ha poi aggiunto il ministro - che non ci siano episodi di violenza in carcere. Se succedesse, saremmo non un Paese civile, ma un Paese da piripicchio».I DATI - Attualmente nelle carceri italiane, ad oltre un anno dal varo dell'indulto, ci sono 47 mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43 mila posti; prima del provvedimento di clemenza, alla fine del luglio 2006, i detenuti erano circa 63 mila. Un numero, questo, che tra un anno e mezzo si rischia nuovamente di raggiungere.

IL GIORNALE

L’indulto bis di Mastella: liberi tutti
di Anna Maria Greco - mercoledì 17 ottobre 2007 Roma
Aumentano di 1.000 al mese i 47mila detenuti nelle carceri. Tra un anno e mezzo ritorneranno a essere quanti erano prima dell’indulto: 63mila, per 43mila posti regolamentari. Sovraffollamento in crescita, insomma, se non ci saranno interventi strutturali. E gli psicologi già lanciano l’allarme per il rischio di rivolte. Ma al ministero della Giustizia hanno trovato l’uovo di Colombo: utilizzare gli agenti penitenziari anche per sorvegliare i detenuti che ottengono i benefici della legge Gozzini, e farne uscire dalle celle il più possibile.
«È una sperimentazione - spiega il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara - che avvieremo presto in alcune città, per indurre i magistrati di sorveglianza a fare più spesso uso di misure alternative alla detenzione. La strada è questa: il tasso di recidiva tra chi ottiene misure alternative è sotto il 20%, per gli altri è il 60-70%. Oltretutto, ogni detenuto nei penitenziari costa allo Stato una grossa cifra e se stanno fuori di più, ci potranno essere maggiori risorse per assumere nuovi agenti». Ferrara è accanto al ministro della Giustizia, alla conferenza-stampa convocata per replicare alle polemiche seguite all’inchiesta del Giornale,ai servizi tv di Striscia la notizia e a interventi di altri quotidiani, sui penitenziari inutilizzati. A Clemente Mastella chiedono se c’è contraddizione su questo premere sull’acceleratore delle misure della Gozzini e il «pacchetto sicurezza», che prevede un giro di vite sui benefici penitenziari, almeno per reati che destano allarme sociale come rapine, scippi, incendi boschivi. «La cosa più importante - replica il Guardasigilli - è garantire la certezza della pena, o in carcere o con misure alternative. L’idea che ci sia una differenza tra micro e macrocriminalità è una sciocchezza, la criminalità è una sola». Ma chi dovrebbe lasciare il carcere in misura maggiore?
«Tra i detenuti ci sono spacciatori, drogati ed extracomunitari: i clandestini sono il 40% e con una modifica alla legge Bossi-Fini la situazione potrebbe cambiare».

Conferenza Stampa Ministro Giustizia


STRUTTURE PENITENZIARIE: IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA FA IL PUNTOCONFERENZA STAMPA CON IL GUARDASIGILLI E IL RESPONSABILE DEL DAP

16 ottobre 2007. Ministero della Giustizia, Sala Verde. Sul mancato utilizzo di alcune strutture penitenziarie e sull'esito della verifica disposta in tal senso dal guardasigilli, il ministro Clemente Mastella e il capo del Dap Ettore Ferrara fanno il punto in una conferenza stampa. Nei giorni scorsi il ministero era già intervenuto sulla vicenda.

martedì 16 ottobre 2007

Conferenza Nazionale Uepe

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali è impegnato nella realizzazione di una "Conferenza nazionale UEPE" che si svolgerà a Roma il 7 novembre p.v. - ore 10.00/16.00 - presso il Centro Congressi Cavour - sala Quirinale - in via Cavour, 50/A.
Il dibattito si incentrerà essenzialmente su due argomenti di discussione: nella prima parte si intende approfondire "le misure alternative alla detenzione alla luce delle proposte di riforma", mentre nella seconda parte si svolgerà una tavola rotonda sul tema "prospettive e sviluppo del servizio sociale nelle misure alternative alla detenzione"
Alla Conferenza sono invitati i Consigli Regionali Ordine Assistenti Sociali, le associazioni della professione e tutti gli assistenti sociali coinvolti nel settore adulti del Ministero Giustizia; a tal proposito il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, ritenendo di significativa particolare rilevanza la più ampia partecipazione dei colleghi alla iniziativa, ha rivolto alla dirigenza del Ministero la richiesta di agevolare, per quanto possibile, la presenza almeno di un assistente sociale per UEPE.
Seguirà programma dettagliato.

ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI

Assistente Sociale la professione in Italia
Organo di informazione del consiglio Nazionale dell'ordine degli assistenti sociali
Quali scenari per il Servizio Sociale del settore penale adulti?
di Gloria Pieroni

Il servizio sociale della giustizia del settore adulti sta attraversando una delle fasi più difficili di tutta la sua storia più che trentennale. La complessità del momento, dovuta a una realtà del mondo penitenziario e sanzionatorio sempre più in crisi (anche per i profondi cambiamenti delle nostre comunità di vita, le cui problematiche hanno ricadute sulla trasformazione quanti-qualitativa delle presenze in carcere), è stata ulteriormente accresiuta, per quanto riguarda il servizio sociale, dalla recente proposta del Dipartimeto dell'amministrazione penitenziaria di inserire, con funzioni di controllo, la polizia penitenziaria nell'esecuzione penale esterna e, nello specifico, nella detenzione domicilizre e nel''affidamento in prova al servizio sociale.
Questa proposta, che si è concretizzata in due distinte bozze di decreto, una del ministro della giustizia, l'altra interministeriale (ministeri della giustizia e dell' interno), ha suscitato reazioni forti e grande allarme per il futuro del servizio sociale nel settore:

  • la maggioranza degli assistenti sociali degli Uffici esecuzione penale esterna(Uepe) ha espresso preoccupazione per gli scenari che il progetto di riforma potrebbe aprire, soprattutto per la gestione dell'affidamento in prova al servizio sociale, misura che è stata strutturata dal legislatore nel 1975, basandosi sul presupposto che il "trattamento" dell'affidato potesse, e dovesse, essere incentrato sulla specifica metodologia di intervento e sulla competenza propria del servizio sociale, con l'attivazione di progetti trattamentali "comunitari";
  • la stessa preoccupazione è stata espressa da illustri esperti (cito fra tutti Alessandro Margara, già conosciuto e stimato presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze e, per un purtroppo breve periodo, direttore generale del DAP), da esponenti del mondo del volontariato penitenziario e dell'associanismo;
  • all'inizio i rigenti degli Uepe hanno avuto una posizione interlocutoria, evidenziando in un documento presentato all'attuale capo del DAP, ettore Ferrara, alcune loro perplessità, successivamente, pare che la loro posizione si sia orientata in senso positivo rispetto alla prevista riforma;
  • il Coordinamento nazionale assistenti sociali giustizia (CASG) ha, da subito, giudicato negativamente la proposta, presentando le proprie valutazioni critiche in documenti e comunicati stampa;
  • infine, le organizzazioni sindacali, hanno assunto posizioni differenziate. Quelle cui aderisce la maggioranza degli agenti di polizia penitenzia hanno plaudito a tale provvedimento, mentre altre, fra cui la CGIL, l'UGL, SAG UNSA, La Federazione delle RdB e il Salpe, hanno espresso la propria contrarietà in diversi documenti, divenuti ancora più critici rispetto ai contenuti del secondo decreto.

L'ordine nazionale degli assistenti sociali ha raccolto il disagio degli operatori degli uepe, sia in occasione di un incontro nazionale tenutosi a Roma il 2 marzo 2007, sia in quanto sollecitati dai numerosi documenti, lettere e appelli pervenuti dalla maggioranza degli uepe. La presidente Fiorella Cava ha altresì partecipato al convegno nazionale, organizzato dal Casg a Pescara il 30 e 31 marzo 2007, da cui sono emerse considerazioni negative rispetto alla prevista riforma. Anche alcuni dirigenti hanno interpellato l'ordine rispetto alla necessità di farsi portasvoce di "tutti" i punti di vista espressi dagli assistenti sociali del settore (va precisato, al riguardo, che tutti i dirigenti degli uepe sono assistenti sociali).
Il Cnoas, con l'obiettivo di assolvere il proprio compito di tutela della professione, è intervenuto attivandosi su più fronti, anche al fine di allargare l'area di riflessione. Sul fronte politico il 28 marzo c'è stato un incontro con il ministro della giustizia clemente Mastella, su quello propriamente tecnico l'incontro con il capo del Dap, Ettore ferrara, e con il direttore generale dell'EPE, Riccardo Turrini vita (che era stato preceduto da un colloquio con il Direttore generale del personale e della formazione, M.De Pascalis) . Sul fronte sindacale, è previsto a breve un confronto con le OO.SS. . In queste diverse sedi, l'Ordine, facendosi portavoce delle istanze provenienti dal servizio sociale della Giustizia, ha ritenuto importante evidenziare alcune valutazioni, sia di metodo, che di merito. Non potendo qui, riportarne estesamente i contenuti, appare comunque utile sintetizzarne alcuni punti significativi.

  • Sul metodo, si è espressa perplessità per il mancato confronto con gli assistenti sociali degli uepe su un'ipotesi di riforma che, se realizzata, inciderebbe fortemente sul loro mandato istituzionale, con prevedibili ricadute su una metodologia e prassi d'intervento che ha sinora consentito al sistema delle misure alternative e, in particolare, all'affidamento in prova al servizio sociale un buon livello di "funzionamento".
  • Sul merito si è detta la difficoltà di comprendere il significato di un intervento che sembra incidere proprio su una misura, quella dell'affidamento, che ha ottenuto dei risultati positivi, così come si evince dai dati sulle recidive e sulle revoche.
    Questi dati sono indicativi di un sistema che, complessivamente, ha funzionato, nonostante la crescita esponenziale dell'area penale esterna e, pur a fronte di risorse umane, strumentali e finanziarie ridottissime. Tale sistema si è costruito, oltre che sulla specifica metodologia professionale del servizio sociale, su un tipo di organizzazione e di politica dei servizi (CSSA oggi UEPE) che, rifacendosi al principio di "territorializzazione della pena", ha mirato a integrare tali uffici nella comunità, mediante la creazione di una rete di rapporti, collaborazioni e sinergie con i soggetti istituzionali e con le altre agenzie del territorio. In particolare, è parso importante evidenziare che, nei tre decenni intercorsi dalla riforma del 1975, il servizio sociale è stato capace, con pochi mezzi e con scarso riconoscimento, di contribuire a una maggiore conoscenza del significato e del valore delle misure alternative anche fra i cittadini "comuni", concorrendo alla riduzione dei pregiudizi e delle paure nei confronti delle persone condannate, rispetto alle quali la società civile è oggi più partecipe e attiva in positive iniziative di solidarietà e sostegno. Questo a dimostrazione anche della fragilità dell'argomentazione che la riforma è necessaria proprio per ridurre il senso di insicurezza e le paure della collettive.
  • Si sono anche segnalati, come prevedibili conseguenze dell'inserimento della polizia penitenziaria con compiti di controllo degli affidati, elementi di ulteriore complessità organizzativo gestionale che potrebbero influire negativamente sia sul piano della qualità, sia su quello dell'efficacia delle misure.
  • Tali posizioni e valutazioni sono state espresse dall'Ordine in vari documenti e note, sia rispetto alla prima bozza di decreto, sia relativamente ai contenuti del decreto interministeriale ritenuto, fra l'altro, generico su aspetti di essenziale importanza per l'operato del servizio sociale e per le misure alternative.

L'Ordine, avendo riscontrato negli incontri avuti, sia con il ministro, sia con i vertici del DAP, la volontà di proseguire nel progetto di riforma(e pur convenendo su alcune criticità segnalate dai diversi interlocutori a supporto della necessità di rendeere il sistema dell'esecuzione penale esterna ancora più efficace), ha ritenuto di dover chiedere quantomeno il rinvio dell'inizio della sperimentazione, con la contestuale attivazione di una fase di riflessione-confronto con tutti i soggetti coinvolti nell'area penale esterna, per meglio valutare e individuare, in modo condiviso, le reali esigenze di riforma e gli interventi concretamente necessari. Questo anche in considerazione delle attuali prospettive di revisione del complessivo sistema sanzionatorio, Al riguardo, si sono segnalate alcune ipotesi di intervento ritenute non procrastinabili per potenziare e rendere più funzionale il sistema dell'area penale esterna. Con l'obiettivo di assumere il ruolo di attivatore di tale fase di riflessione fra tutti i soggetti coinvolti nella gestione delle misure alternative, il Cnoas nella seduta di Consiglio del 15/16 giugno scorso ha deciso di farsi promotore di una conferenza nazionale sil servizio sociale del settore penale adulti. Il successivo rinvio di ogni decisione in merito al decreto interministeriale, stabilito dai vertici Dap in occasione dell'incontro avuto con le OO.SS l'11 luglio scorso, attribuisce a questa iniziativa una valenza ancora maggiore. Infatti la Conferenza potrà veramente essere sede e occasione di confronto fra punti di vista anche diversi, nonchè di attenta e schietta valutazione di tutti gli elementi che compngono e incidono sul complesso mondo dell'esecuzione penale esterna e sul ruolo, in tale ambito rivestito, dal servizio sociale

domenica 14 ottobre 2007

LETTERA APERTA ASSOCIAZIONI SU "PACCHETTO SICUREZZA"

Onorevoli ministri Paolo Ferrero, Giuliano Amato, Francesco Rutelli, Barbara Pollastrini, Clemente Mastella, Rosy Bindi, il tema della sicurezza nelle città è assurto alla ribalta del dibattito pubblico e politico e il governo si appresta a varare il cosiddetto "pacchetto sicurezza".

Riteniamo che, volendo intendere il concetto di sicurezza come un processo di costruzione sociale tra le diverse competenze e attori che vivono le città e vi operano e i diversi livelli delle competenze istituzionali sul piano locale e centrale, sia fondamentale che il confronto del governo avvenga anche con le organizzazioni non profit.
Quotidianamente ci misuriamo sul campo con le problematiche relative alla convivenza civile nelle comunità locali, occupandoci dei soggetti vulnerabili spesso considerati unica causa di un malessere percepito e manifestato in determinati contesti cittadini, realizzando interventi di prossimità e di sostegno alle persone in difficoltà ma attivando anche pratiche di mediazione dei conflitti volti a aumentare la vivibilità dei territori e 0 benessere delle comunità locali.
Abbiamo maturato in questi anni un bagaglio di esperienze "sporcandoci le mani", occupandoci di migranti, italiani, donne, uomini, minori, transgender che vivono una condizione di marginalità, di esclusione, spesso di sfruttamento, nelle aree della prostituzione, della mendicità, del disagio giovanile, dei "senza dimora", delle dipendenze, delle culture giovanili, delle situazioni legate alla migrazione.
Occupandoci, molte volte, non solo del disagio ma anche della cosiddetta "normalità", dove spesso sono assai diffuse e nascoste situazioni di sofferenza che determinano tensioni gravi che frequentemente entrano in contatto, e si autoalimentano in una sorta di interazione in negativo, con le aree della vulnerabilità e dell’esclusione.
Un’esperienza declinata in pratiche reali sui territori attraverso l’interazione delle varie componenti che i territori vivono e animano, portando servizi di ascolto e accompagnamento, di riduzione del danno e di prossimità, di promozione della salute e dei diritti, di uscita dalle situazioni di marginalità e sfruttamento, offrendo opportunità di inclusione sociale, lavorando con la cittadinanza e con le istituzioni, contribuendo al contrasto all’illegalità e allo sfruttamento.
Un’esperienza spinta dal rifiuto di qualsiasi semplificazione di fenomeni sociali complessi, dal rifiuto delle scorciatoie securitarie (non solo inefficaci, ma lesive dei diritti degli "ultimi" e della convivenza civile e democratica), dal rifiuto della criminalizzazione e espulsione del "diverso", delle persone già ai margini della nostra società.
Un’esperienza che ci insegna che il binomio repressione/criminalizzazione come unico strumento di intervento sul tema sicurezza e trattamento delle forme di devianza e marginalità estrema non solo non risolve ma, nei fatti, alimenta i fenomeni e gli spazi di illegalità. Gli "indesiderati" vengono spinti verso altri luoghi, spesso in un sommerso dove è più difficile contattare e offrire opportunità alle persone in difficoltà o sfruttate e dove aumenta la spinta all’invischiamento in attività illegali.
Vengono interrotti difficili percorsi di ricostruzione della coesione sociale. Si distolgono le risorse umane e economiche delle forze dell’ordine dall’azione investigativa (lotta ai trafficanti e sfruttatori) verso quella repressiva che sovente solo illusoriamente dà risposte al senso di allarme e alla percezione di insicurezza manifestati dalla cittadinanza.
L’esperienza, spesso condivisa con gli Enti locali e con le Forze dell’ordine, ci insegna come invece la realizzazione di azioni positive a tutela delle fasce marginali e di promozione del benessere nelle comunità, siano la chiave per costruire realmente la sicurezza.
Occorre allora che nei territori vengano attivati Tavoli di concertazione per la costruzione della sicurezza sociale in forma partecipata e concordata. Occorre però che tale meccanismo di concertazione venga sviluppato anche a livello centrale e possa ricadere in termini di linee di indirizzo e proposte a livello locale.
Un recente positivo esempio è costituito dall’Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi, istituito dal ministero dell’Interno con la partecipazione degli altri ministeri competenti e delle associazioni.
Per queste ragioni, chiediamo con urgenza, la possibilità di incontrarvi per un confronto costruttivo. Certi di un favorevole riscontro, porgiamo distinti saluti.

Antigone; Arci; Asgi, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione; Associazione On the Road; Associazione Tampep onlus; Cantieri Sociali; Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute; Consorzio Drom, consorzio nazionale della cooperazione sociale - Legacoop; Cooperativa Dedalus Fiopsd, Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza dimora; Forum Droghe; Gruppo Abele; Lila; Mit, Movimento di Identità Transessuale; Nova, Consorzio per l’innovazione sociale onlus; Save the Children Italia onlus.