Relativamente al disegno di legge n. 623, riguardante modifiche all’attuale ordinamento penitenziario, ritengo doveroso fare alcune osservazioni, sulla base dell’esperienza ormai più che ventennale di dirigente di un Ufficio Esecuzione Penale Esterna.
Il disegno di legge sembra voglia rispondere a crescenti esigenze di sicurezza, che, seppure spesso drammatizzate, sono in gran parte legittime e condivisibili anche dagli operatori penitenziari, che da anni lavorano, negli istituti di pena e negli uffici esecuzione penale esterna, per la rieducazione, e quindi insieme per il recupero e per la sicurezza.
Per la verità sembra corretto segnalare che l’attuale "incertezza" della pena è in gran parte legata alla fase processuale, dove le procedure sono spesso effettivamente iper-garantiste (prescrizioni facili, ecc.) e contrastano l’esigenza di vedere scontare la pena concretamente ed in tempi vicini al reato.
L’esecuzione della pena è invece regolata diversamente, e sono generalmente funzionanti i vari strumenti, anche di controllo, previsti. Relativamente alle misure alternative alla detenzione, tutte le ricerche, ed anche una recente del Ministero della Giustizia, evidenziano che la recidiva è notevolmente inferiore tra gli affidati e superiore invece tra i detenuti, a testimonianza della validità della maggior parte dei percorsi attuati in affidamento e della frequente inutilità - dannosità dell’esperienza del carcere, in termini di rafforzamento dell’identità e delle "amicizie" devianti.
È tuttavia vero che anche le misure alternative presentano limiti e difficoltà, più volte in questi anni fatte presenti dagli stessi operatori e dirigenti, e richiedono quindi anch’esse dei cambiamenti per rendere pienamente effettiva la pena in tutti gli aspetti della rieducazione (recupero, reinserimento, sicurezza, controllo). Sono state fatte in questi anni delle modifiche, ma parziali, spesso contraddittorie e senza una visione d’insieme, e si attende da anni la riforma del codice penale.
Le osservazioni e proposte che seguono nascono perciò dalla convinzione che la giusta esigenza di evitare abusi ed eccessi vada tenuta insieme con l’esigenza di mantenere ed anzi sviluppare percorsi di effettivo recupero e responsabilizzazione dei condannati. Un indulgenzialismo fine a se stesso, infatti, non serve a reprimere ma neppure a rieducare, così come una chiusura fine a se stessa, è ampiamente dimostrato, non serve né a scoraggiare dal crimine né ad aumentare la sicurezza.
Risulta prioritario, oggi, mettere al centro della pena la rieducazione alla responsabilità, personale e sociale. A tal fine, serve un potenziamento degli interventi sia di controllo sia di aiuto, che non siano però fini a se stessi ma concretamente orientati a favorire reali ed impegnativi percorsi di recupero personale e di responsabilizzazione ai doveri - valori sociali.
Affidamento (art. 2)
L’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 dell’ordinamento penitenziario) quindi non va riservato alle pene inferiori ad un anno, che tra l’altro è un periodo troppo breve per avviare seri percorsi di responsabilizzazione, ma potrebbe essere modificato per renderlo più efficace in termini sia di recupero - aiuto che di sicurezza - controllo, prevedendo, per esempio, alcune cose:
che gli affidati al servizio sociale svolgano, accanto agli altri impegni del programma di trattamento (lavoro, ecc.), un Lavoro gratuito di Pubblica Utilità, in modalità da concordare tra Ufficio Esecuzione Penale Esterna ed Enti Locali e Volontariato;
che gli affidati si adoperino effettivamente in favore della vittima del reato (direttamente, tramite percorsi di mediazione penale o altro, o indirettamente, tramite un impegno in favore delle Associazioni di vittime dei delitti);
che le Forze dell’Ordine siano tenute a stipulare Protocolli con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, responsabile dell’aiuto e del controllo degli affidati, per precisare le modalità della loro collaborazione;
che gli affidati seguano un percorso specifico di educazione alla legalità ed alla cittadinanza all’interno di Protocolli e Progetti concordati anch’essi dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna con gli Enti Locali e le Forze dell’Ordine;
che la valutazione positiva sul periodo di prova, in itinere ed alla fine, sia subordinata ad un approfondito esame, sulla base di dati e comportamenti che attestino un positivo evolversi della situazione personale e sociale ed un reale assolvimento degli impegni del programma, prevedendo la sospensione o la revoca della misura in assenza - carenza di questi impegni (nel lavoro di pubblica utilità, nei confronti della vittima, nei percorsi terapeutici, di educazione alla legalità, ecc.).
Detenzione domiciliare (art. 3)
Per quanto riguarda la detenzione domiciliare, appare condivisibile la richiesta "improcrastinabile di un maggiore controllo ed un monitoraggio continuo da parte degli uffici di esecuzione penale esterna", essendo importante che anche per la detenzione domiciliare sia uno solo l’ufficio responsabile sia del controllo sia dell’aiuto.
Per rendere effettivo sia il controllo sia l’aiuto, si propone che, anche per la detenzione domiciliare, le Forze dell’Ordine e gli Enti Locali firmino appositi Protocolli per precisare le modalità di collaborazione con gli Uffici Esecuzione Penale Esterna.
Si propone pertanto di non modificare i termini temporali previsti nell’articolo 47 ter, viste le reali esigenze e diritti umani per le quali la detenzione domiciliare è stata prevista (donna incinta, malati gravi, ecc.).
Semilibertà (art. 4)
Pur ritenendo possibile modificare i periodi di pena necessari per accedere alla misura, si ritiene che non sia questo l’elemento determinante, quanto la serietà del percorso messo in atto, ed a tal fine si ritiene prioritario che anche per la semilibertà l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna abbia una responsabilità piena, e sia quindi dotato delle risorse necessarie al controllo ed all’aiuto.
Per quanto riguarda la semilibertà per i condannati all’ergastolo (c. 5 dell’art. 50 o.p.), che il disegno di legge prevede di abrogare, si ritiene che sia sbagliato togliere del tutto ed a tutti la speranza di un miglioramento, solo per qualche uso scorretto della misura.
Se proprio si ritenesse necessario stringere ed evitare una semilibertà dopo "soli" quindici anni di pena, potrebbe forse non essere contrario ai principi della riforma mantenere per un ergastolano la possibilità della semilibertà dopo venti anni di pena aggiungendo, per esempio, che si tratti di venti anni "effettivamente scontati" (e quindi senza gli abbuoni della liberazione anticipata).
Liberazione anticipata (art. 5)
Se è vero che la liberazione anticipata "regala incomprensibilmente ai detenuti un calendario diverso", è altrettanto vero che l’istituto è di grande valore perché premia il merito e scoraggia il demerito (comportamenti violenti e più in generale negativi ed oppositivi).
Anche qui, piuttosto che eliminare un istituto meritocratico, utile al soggetto ed al carcere anche al fine di contenere tensioni e conflittualità, non sarebbe impossibile dare un valore forte alla liberazione anticipata, per esempio riportandola all’impianto originario della legge del 1975, e quindi prevedendo 20 giorni e non 45 di abbuono per ogni semestre; riportandola nell’alveo delle possibilità, e non dei diritti, subordinandola ad una costruttiva e non formale adesione al programma di trattamento e ad un positivo evolversi della personalità, da desumere da comportamenti concretamente rilevabili; abrogando la liberazione anticipata per gli affidati, per i quali, essendo già "in prova" fuori dal carcere, è effettivamente solo un inutile indulgenzialismo.
Modifiche al Codice di procedura penale (art. 6)
Si concorda sulla maggiore importanza che dovrebbero avere le vittime offese dal reato, e si osserva, viste anche le precarie condizioni socio-economiche di molti condannati, che la strada migliore non sia sempre quella economica (provvisionale, ecc.), quanto piuttosto introdurre contenuti forti per la responsabilizzazione del condannato ai doveri - valori della convivenza sociale (mediazione penale, lavori pubblica utilità, educazione ai doveri sociali, ecc.).
Art. 656 c.p.p. - Si ritiene sia da confermare, e non da abrogare, la sospensione della pena in attesa di una possibile misura alternativa, visti gli effetti deleteri della carcerazione ampiamente conosciuti, per i soggetti e per la collettività, e visto l’impatto violento con il carcere, spesso traumatico, specie per chi è alle prime esperienze penali, che va invece subito separato da possibili circuiti devianti ed avviato a seri percorsi di responsabilizzazione.
Le attuali esigenze di sicurezza e di una pena effettiva, in conclusione, non hanno bisogno di uno stravolgimento delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario, ma, più semplicemente, di alcune modifiche e miglioramenti affinché siano, in attesa del nuovo codice penale, in grado di realizzare anche oggi l’obiettivo di una seria rieducazione, alla responsabilità ed alla legalità prima di tutto.