L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

martedì 30 ottobre 2012

Tutte le organizzazioni sindacali del personale penitenziario chiedono a Monti soluzioni diverse da quelle decise nella spending review

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Roma, 29/10/2012

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Prof. Mario Monti



Al Ministro della Giustizia
Prof. Avv. Paola Severino



Al Ministro dell'Economia
Prof. Vittorio Umberto Grilli



Al Ministro per la Pubblica Amministrazione e della Innovazione
Presidente Filippo Patroni Griffi



Come a voi noto gli effetti dei provvedimenti stabiliti dalla Spending Review (DL 95 2012 convertito dalla legge 7 agosto 2012 n.135) saranno devastanti per tutto il sistema penitenziario.

In particolare gli ulteriori tagli previsti andranno a ridurre drasticamente, nei dipartimenti del DAP e del DGM, gli organici dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, di area I, nonché il personale del comparto Ministeri (educatori, assistenti sociali e tecnico-amministrativi). Ugualmente si opererà una riduzione di fatto degli organici della polizia penitenziaria per effetto del blocco del turn over.

Questo si tradurrà inevitabilmente:
1) nella impossibilità di garantire la gestione delle carceri e gli obiettivi statuiti dalla Carta Costituzionale in termini di rieducazione e reinserimento sociale
2) nella impossibilità di garantire la sicurezza degli istituti penitenziari e quindi dell'intera collettività
3) nella impossibilità di garantire la celebrazione dei processi e l'accesso e la gestione delle misure alternative.


Chiediamo pertanto, condividendo gli obiettivi annunciati dal Ministro della Giustizia, che si trovino adeguate soluzioni nell'ambito della Legge di stabilità.

Ci aspettiamo un riscontro immediato.


Per la Polizia Penitenziaria- Per il Personale del Comparto Ministeri - Per la Dirigenza Penitenziaria

Sappe, OsappUil- Penitenziari UGL - Polizia Penitenziaria FPCGIL FPCGIL, Uil-PenitenziariConfsal-UNSA USB-P.I. SIDIPE DPSFPCGILCodipe UILConfsal-UNSA



Sindacati al Governo; senza nuove risorse impossibile gestire il sistema carcerario


 Dire, 30 ottobre 2012

Una nota sindacale unitaria potrebbe non essere una notizia, ma nel settore penitenziario, attraversato storicamente da divisioni, è un fatto inedito.



Per la prima volta le organizzazioni sindacali rappresentative del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dei Poliziotti Penitenziari, dei dirigenti Penitenziari e dei ministeri (Fp-Cgil, Uil, Ugl, Confsal-Unsa, Usb-Pi, Sappe, Osapp, Sidipe, Dps), hanno scritto unitariamente al presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti e ai ministri Severino, Grilli e Patroni Griffi.



“Gli effetti dei provvedimenti stabiliti dalla Spending Review - si legge nella nota - saranno devastanti per tutto il sistema penitenziario. In particolare gli ulteriori tagli previsti andranno a ridurre drasticamente, nei dipartimenti del Dap e del Dgm, gli organici dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, di area I, nonché il personale del comparto ministeri (educatori, assistenti sociali e tecnico-amministrativi). Ugualmente si opererà una riduzione di fatto degli organici della polizia penitenziaria per effetto del blocco del turn over”.

Provvedimenti, continua la missiva, che si concretizzeranno “nella impossibilità di garantire la gestione delle carceri e gli obiettivi statuiti dalla Carta Costituzionale in termini di rieducazione e reinserimento sociale, nella impossibilità di garantire la sicurezza degli istituti penitenziari e quindi dell’intera collettività, nella impossibilità di garantire la celebrazione dei processi e l’accesso e la gestione delle misure alternative”. “Chiediamo pertanto, condividendo gli obiettivi annunciati dal ministro della Giustizia, che si trovino adeguate soluzioni nell’ambito della Legge di stabilità - conclude la nota - attendendo un riscontro immediato”.



FPCGIL crive al Dap Programma Porta Porta


Prot. CMn.121 /2012 Roma, 30 ottobre 2012



Al Capo Dap

Pres. G. Tamburino



Ai vice Capo Dap

D.ssa S.Matone

Dr. L. Pagano



Oggetto: Il programma televisivo “Porta a Porta” affronta il problema carcere



Siamo venuti a conoscenza che prossimamente il programma televisivo di Rai1 “Porta a Porta” dedicherà una puntata alla problematica delle carceri soffermandosi su alcuni aspetti peculiari del sistema detentivo “ il sovraffollamento, la maternità, l’applicazione del 41 bis e degli ospedali psichiatrici”, che saranno documentati da reportage girati in alcuni istituti penitenziari.

Una occasione sicuramente importante data la valenza mediatica del programma televisivo e la sua popolarità; una occasione importante dal punto di vista dell’informazione oggi più che mai sollecitata, anche dagli appelli del Presidente della repubblica, nell’affrontare la tematica, spesso scomoda in termini di audience, contestualizzandola nella drammaticità emergenziale che sta vivendo il sistema detentivo. Una occasione importante, inoltre, per le professionalità penitenziarie che nel contesto svolgono in sinergia il loro compito istituzionale finalizzato al mandato previsto dall’art.27 della costituzione.

Eppure, con rammarico constatiamo che quanto disposto dal Dap nella nota n.0373181 del 19710/2012, sembra andare in altra direzione. Infatti sono stati autorizzati a rilasciare intervista solo i Direttori e i Comandanti di reparto dei penitenziari interessati che non solo potranno rappresentare gli aspetti organizzativi e gestionali dell’istituto ma anche quegli aspetti più specificamente trattamentali, realizzati o in via di realizzazione, demandati istituzionalmente alle professionalità del funzionario giuridico pedagogico piuttosto che a quelle di servizio sociale.

Non ci appassiona particolarmente la trasmissione televisiva in questione ma ci preoccupa piuttosto la disposizione di codesto dipartimento che ancora una volta elude professionalità penitenziarie essenziali nella gestione del sistema detentivo ed il loro intervento istituzionale.

Ci preoccupa la linea politica dell’amministrazione sempre più orientata a rappresentare il contesto con una immagine gestionale securitaria e custodialistica, anticipando, forse, gli effetti devastanti che la spending review determinerà nel settore .

Ci chiediamo e chiediamo se nella questione in specie quanto disposto sia stata una scelta opportuna e /o quanto invece sia dovuta.

Restiamo comunque dell’idea che anche questa volta l’amministrazione ha perso una occasione, quella di non mortificare la professionalità e le competenze dei lavoratori penitenziari.

Cordialmente



La Coordinatrice Nazionale DAP

Lina Lamonica

venerdì 26 ottobre 2012

Chiaramonte (Cgil), commissari Ps non possono sostituire direttori

Roma, 26 ott. (Adnkronos) - "La funzione delle carceri e' ormai si limita a contenimento fisico della persona". Lo afferma Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil, intervenuto oggi ad una conferenza stampa insieme a Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, e Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti territoriali dei Diritti dei detenuti, sulla situazione carceraria.
"C'e' pericolo che, con la Spending Review, si verifichi una riduzione del personale carcerario - puntualizza il sindacalista - dando cosi' una spinta forte verso la militarizzazione della realta' carceraria". Una situazione allarmante, secondo il rappresentante della Cgil che sottolinea come l'ultimo concorso per assistente sociale sia stato fatto "ben sedici anni fa", mentre oggi si parla solo di "sostituire la figura del direttore del carcere con il commissario di polizia".

"La situazione carceraria - prosegue - va alleggerita immediatamente. Si tratta di una battaglia che riguarda un pezzo importante del welfare. Anche i carcerati hanno diritto alla salute e alla lavoro. E' quindi necessario mettere in campo dei progetti di formazione e recupero dei detenuti attraverso personale adatto".

Fp-Cgil; da spending review tagli mortali per l’amministrazione penitenziaria

 Ansa, 26 ottobre 2012


Dagli attuali 1.212 assistenti sociali a 1.067; gli educatori passeranno da 1.188 a 1.073, i contabili da 236 a 216; mentre i direttori dei penitenziari saranno 274 al posto degli attuali 343. Sono questi gli effetti che la spending review, che prevede il taglio del 10% dell’organico della pubblica amministrazione e del 20% dei dirigenti, avrà sul personale che si occupa delle carceri, secondo i numeri della Fp Cgil, che segnala gli effetti nefasti per l’organico civile.

La spending review ha risparmiato il ministero della Giustizia - dice il segretario nazionale del sindacato Salvatore Chiaramonte in una conferenza stampa alla Camera assieme all’associazione Antigone - ma non il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Anziché un irrobustimento, come sarebbe ragionevole data l’attenzione rivolta dal ministro Severino al carcere, avremo una diminuzione dell’organico. Questa misura, segnala Patrizio Gonnella di Antigone, dà un colpo mortale al Dap. Significa affidare gli istituti solo alla polizia, e tornare ad un’idea di carcere che è tutta sicurezza e nessuna prospettiva di rieducazione



UNSA SAG SRIVE AL VICE CAPO DAP

URGENTE


Al Dott. Luigi PAGANO
Vice Capo del D.A.P.

e, p.c.

Al Portavoce del Ministro della Giustizia
Dott.ssa Silvia Barocci

Al Pres. Giovanni Tamburino
Capo del D.A.P.

Alla Redazione “Porta a Porta “ Rai Uno


Oggetto: Rai 1 “Porta a Porta” - Servizio giornalistico televisivo su situazione carceri italiane.

Apprendiamo dalla nota, prot. n.0373181 del 19/10/2012, a firma della S.V., che è intenzione della redazione di Rai 1 - programma Porta a Porta - di effettuare un servizio sulla situazione degli istituti penali inerente “il sovraffollamento, la maternità, l’applicazione del 41 bis e degli ospedali psichiatrici”. A tal fine vengono autorizzati i Direttori e i Comandanti di reparto a rilasciare interviste sulle condizioni organizzative e gestionali degli istituti, “nonché sulle attività formative e lavorative finalizzate al recupero e al reinserimento socio-lavorativo delle persone detenute, avendo cura di illustrare i progetti in corso o in fase di realizzazione nell’ambito dei diversi laboratori allestiti in carcere”.

In merito, la scrivente Organizzazione Sindacale esprime forte rammarico in quanto, inspiegabilmente, non si prevede di dare voce, e coinvolgere, proprio il personale che direttamente (in prima linea, si può indubbiamente affermare) svolge la funzione trattamentale e rieducativa, ovvero i Funzionari della professionalità Giuridico Pedagogica (c.d. Educatori) e, per altri aspetti, i Funzionari di Servizio Sociale.

La Confsal Unsa ritiene sia opportuno riconoscere il delicato operato e la funzione del personale che si ‘prende cura’ dello stato di sofferenza delle persone ristrette, con professionalità, spesso svilita dalle condizione estreme in cui opera con mezzi e risorse sempre più limitate, persino senza un adeguato riconoscimento economico e giuridico. Anzi, la spending review, a fronte del drammatico aumento della popolazione detenuta (circa 70.000 unità), prevede un ulteriore taglio di circa 1.000 dipendenti (dirigenti, educatori, assistenti sociali, tecnici e amministrativi) del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile. La predetta riduzione inficerebbe, a priori, qualsiasi percorso di riforma, in senso deflattivo e alternativo, delle misure di esecuzione penale.

Al riguardo, la scrivente O.S. (la più rappresentativa del Ministero della Giustizia) ha posto in essere numerose iniziative, investendo anche il Presidente della Repubblica il quale, con la nota sensibilità, ha sottolineato la Sua particolare attenzione per le questioni carcerarie informando l’Ufficio di Gabinetto del Ministro della Giustizia in merito alle tematiche da noi evidenziate.

In conclusione, chiediamo all’Amministrazione Penitenziaria di ‘riconoscere’, in questo frangente, il ruolo svolto dalle figure trattamentali, dando loro la possibilità di esprimersi, considerato che quotidianamente condividono lo stato di sofferenza dei detenuti impegnandosi nel delicato compito del ‘prendersi cura’.

Nell’attesa di gentile e urgente riscontro, certi che la Redazione di Porta a Porta sarà lieta di dare spazio (voce) alla figura rieducativa di riferimento che opera nelle carceri italiane, si porgono distinti saluti.

Roma, 26 Ottobre 2012.

mercoledì 24 ottobre 2012

Relazione Ferranti alla Camera dei Deputati- Delega al Governo in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili





C. 5019-BIS-A



APPUNTO PER LA RELAZIONE



Il provvedimento oggi in esame è il risultato di un lungo approfondito lavoro che ha visto coinvolti Commissione e Governo nell’intento di formulare un testo che possa servire a deflazionare concretamente, sia pure naturalmente in maniera non definitiva, sia il drammatico sovraffollamento delle carceri sia il carico di lavoro spesso insostenibile degli uffici giudiziari che si trovano impegnati per anni in processi che poi molte volte finiscono con la prescrizione del reato.

Il testo originario del disegno di legge del Governo si basava su quattro diverse deleghe aventi ad oggetto la depenalizzazione dei reati minori, la messa alla prova, le pene detentive non carcerarie e la contumacia. Le finalità deflattive delle prime tre deleghe è evidente di per sé. Per quanto attiene alla materia della contumacia, invece, la necessità dell’intervento normativo va letto in riferimento alle numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo relative al diritto dell'imputato, ex articolo 6 della Convenzione, ad essere presente al proprio processo e che, censurando l'Italia per la violazione del diritto anzidetto, impongono al nostro Paese un obbligo di conformazione della disciplina nazionale.

Rispetto al testo originario del disegno di legge la prima differenza che troviamo nel testo al nostro esame è data dallo stralcio che si è operato in merito alla delega in materia di depenalizzazione. La scelta di stralciare questa materia è stata presa dalla Commissione, condivisa dal governo e confermata dall’Assemblea, dopo che si è verificato, grazie a dati forniti dal Governo stesso, che l’effetto deflattivo che questa avrebbe prodotto rispetto al numero dei processi penali pendenti si sarebbe fermato a cifre di poco superiori allo zero per cento. Considerato che un approfondimento della questione, finalizzato all’elaborazione di un elenco di reati da depenalizzare che consentisse una efficace deflazione del numero dei processi senza il rischio di non punire più penalmente fatti che invece sono meritevoli della sanzione penale, avrebbe comportato un aggravio notevole dei tempi di approvazione finale del disegno di legge e quindi anche di quelle parti di esso estremamente urgenti, essendo dirette a deflazionare il sovraffollamento carcerario, si è preferito separare la depenalizzazione dal resto. Ciò consente sia di procedere all’approfondimento richiesto sia di approvare nel frattempo il resto del disegno di legge.

Altra differenza notevole con il testo originario è dato dalla trasformazione delle deleghe in materia di messa alla prova e di contumacia in norme direttamente precettive. Si è trattato di un lavoro tanto complesso da farne dubitare a qualcuno la sua opportunità. Sarebbe stato sicuramente più facile e meno rischioso, sotto il profilo tecnico, lavorare sui principi e criteri direttivi di delega, eventualmente specificandoli ulteriormente. Sono state invece sostituite le deleghe con norme penali sostanziali e processuali con un duplice scopo: intervenire direttamente sulle predette materie senza attendere i tempi di attuazione delle deleghe, sempre incerti in prossimità della fine della legislatura, e ridare al Parlamento un ruolo centrale nell’intera produzione legislativa di norme estremamente importanti.

È quindi rimasta nel testo una sola delega: quella relativa alle pene detentive non carcerarie. Non si è trattato di una scelta, quanto piuttosto della constatazione che la Commissione non aveva i tempi necessari per poter trasformare i principi in norme direttamente precettive. Queste avrebbero dovuto toccare diversi settori dell’ordinamento (diritto penale sostanziale e processuale nonché diritto penitenziario) e comportare una serie di coordinamenti normativi che effettivamente per il Parlamento non sono sempre agevoli. Per evitare di formulare una normativa incompleta, si è scelta quindi la via della specificazione dei principi e criteri direttivi di delega facendo riferimento, per quanto possibile e compatibile, alla legislazione vigente che ultimamente è intervenuta su una materia simile, ma comunque diversa. Mi riferisco alla legge 26 novembre 2010, n. 199, recante disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, che ha per oggetto misure alternative. Il testo al nostro esame, invece si riferisce ad una pena principale comminata dal giudice della cognizione.

Prima di passare al contenuto del testo vorrei sottolineare come momento centrale dell’istruttoria legislativa siano state le audizioni svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva che, attraverso l’apporto tecnico-giuridico di professori universitari e di operatori del diritto, quali magistrati ed avvocati, ha consentito, tra l’altro, di compiere un lavoro sicuramente delicato e complesso: la trasformazione di alcune deleghe in disposizioni direttamente precettive. Ritengo che sia doveroso ringraziare, per il significativo contributo dato, i professori Mario Chiavario, Claudia Cesari, Giulio Illuminati e Francesco Caprioli nonché il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, il presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani, il giudice del Tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, ed i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane. Sono stati molto utili anche i contributi scritti della Dott.sa Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, e di Claudio Castelli, Presidente aggiunto Ufficio GIP presso Tribunale di Milano.

Passo quindi ad illustrare il testo partendo proprio dalla delega relativa alle pene detentive non carcerarie, che il testo originario collocava all’articolo 5, che invece ora si trova all’articolo 1, quale unica delega rimasta.

Si tratta di una novità nel panorama del diritto penale italiano che si può definire epocale senza correre il rischio di cadere in facili esaltazioni retoriche che sovente non hanno poi alcuna giustificazione nella realtà dei fatti.

La novità consiste nel prevedere che il giudice della cognizione nel pronunciare la condanna per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni possa stabilire che, in luogo della detenzione carceraria, la reclusione o l'arresto siano eseguiti presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, anche per fasce orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitto, ovvero non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni, nel caso di contravvenzioni. Tra i delitti puniti con pene detentive non superiori a quattro anni è stato escluso, per evidenti ragioni, il reato di stalking di cui all’articolo 612-bis del codice penale.

Come ha avuto modo di sottolineare il Ministro della Giustizia nel corso dell’esame in sede referente, si tratta di modifiche che intendono realizzare un'equilibrata politica di «decarcerizzazione» e dare effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, che comunque viene privata.

È innegabile che per il nostro ordinamento il carcere deve essere considerato come una extrema ratio, alla quale ricorrere quando altre sanzioni sono inefficaci.

Come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, “attraverso le nuove pene detentive non carcerarie, il condannato non dovrà più subire l'inadeguatezza del sistema penitenziario e la relativa ingiustificata compressione del diritto a un'esecuzione della pena ispirata al principio non solo di rieducazione, ma anche di umanità. Si tratta, pertanto, di disposizioni che conciliano i fondamentali obiettivi di un moderno sistema penale ispirato ai princìpi non soltanto di necessità, legalità, proporzionalità, personalità della pena, ma anche di rieducazione e umanizzazione della stessa secondo il disposto dell'articolo 27 della Costituzione, che ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele, escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale.”

La valenza epocale della riforma, alla quale ho prima fatto riferimento, sta nel fatto che non si tratta di una misura che viene applicata in fase di esecuzione all’esito dell’osservazione del comportamento del detenuto in carcere, ma in una pena principale che si affianca alla reclusione ed arresto in carcere e che, come tale, è comminata dal giudice della cognizione. Si tratta di un primo passo di avvicinamento a quei sistemi penali, specialmente anglosassoni, dove la pena si modula ogni volta (naturalmente con limitazioni legislative ben precise) sulle reali e concrete esigenze rieducative del condannato, senza mai perdere di vista le valenze retributive e preventive che la pena deve comunque sempre mantenere.

La delega non tiene conto solo del principio secondo cui il carcere deve essere considerato come una extrema ratio, ma anche delle esigenza di sicurezza sociale. Per assicurare queste ultime, si è voluto evitare che l’esecuzione “domiciliare” della pena detentiva possa essere considerata un dato acquisto ex ante da colui che commette il reato, bensì il risultato di una specifica e particolare ponderazione effettuata dal giudice della cognizione sulla base di una serie di elementi che poi non sono tanto diversi da quelli individuati dall’articolo 133 del codice penale. Non vi, quindi, alcuna automaticità nel prevedere la reclusione o l’arresto domiciliare. Questo è un punto molto importante che deve essere tenuto ben a mente quando, a torto, si critica questa riforma bollandola come un indiscriminato “svuota carceri”. Alla base dell’applicazione della nuova pena vi è sempre una prognosi negativa di pericolosità del condannato.

Le modifiche effettuate dalla Commissione sono state dettate dall’esigenza di rafforzare proprio questo profilo della delega, al fine di sottolineare l’aspetto di tutela della sicurezza della società. In questa ottica si è voluto dare risalto anche alle esigenza di tutela delle persone offese, che potrebbero essere lese da una esecuzione domiciliare delle pene detentive.

Altre modifiche significative attengono alle modalità di controllo che il giudice della cognizione non può (come previsto nel testo originario) ma deve prevedere. Inoltre si è previsto che i mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (in primo luogo, i cosiddetti braccialetti) siano uno degli strumenti di controllo ma non gli unici. Ciò consente di svincolare la riforma dalla questione dei braccialetti elettronici che oltre ad avere un costo notevole potrebbero non garantire i risultati di sicurezza sperati.

Si è poi intervenuti sulla parte relativa al luogo ove può essere espiata la detenzione, riproducendo la formulazione della già citata legge n. 26 novembre 2010, n. 199, che sul punto sembrava più completa rispetto al testo originario del disegno di legge, che si limitava all'abitazione o un altro luogo di privata dimora, escludendo di fatto dalla applicazione del nuovo istituto tutti coloro che non disponessero di tali luoghi. In luogo della dimora sono stati previsti i luoghi pubblici o privati di cura, assistenza e accoglienza.

È infine evidente che le nuove pene previste, evitando il carcere a chi del carcere non ne abbia bisogno per finalità retributive ed educative, sono dirette anche ad ovviare, sia pure solo in parte, alla drammaticità del problema del sovraffollamento carcerario di cui soffre il nostro sistema penitenziario.

Gli articoli da 2 a 6 hanno per oggetto il nuovo istituto della messa alla prova. Scopo della nuova disciplina - ispirata alla nota probation di origine anglosassone - è quello di estendere il citato istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità. Come si spiega nella relazione illustrativa., l'istituto «offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al contempo, svolge una funzione deflattiva dei procedimenti penali in quanto è previsto che l'esito positivo della messa alla prova estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice».

Si tratta, come nel processo minorile, di una probation giudiziale che non presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna.

Anche in questo caso si è cercato di coniugare due diverse esigenze: quelle rieducative della persona che potrebbe aver commesso un reato e quelle di sicurezza della società, che non può tollerare che non si svolgano processi quando questi potrebbero concludersi con condanne necessarie sotto i diversi profili che la pena deve avere secondo la costituzione. Questo bilanciamento di interessi presuppone che anche in questo caso non vi debba essere alcuna automaticità nell’applicazione dell’istituto, ma vi debba essere un controllo da parte del giudice della pericolosità del soggetto che potrebbe comportare la revoca della sospensione quando questa pericolosità dovesse emergere nel corso della probation.

Vorrei ricordare che la messa alla prova di maggiorenni è stata più volte presa in considerazione sia dal Parlamento che da commissioni ministeriali di studio, i cui lavori sono serviti come spunto per alcune soluzioni adottate nel testo. Mi riferisco alle Commissioni presiedute da Grosso, Pisapia e Nordio.

Per quanto attiene alla nuova disciplina si è preferito trasformarla da delega in normativa direttamente precettiva.

Mentre nel processo minorile, la messa alla prova è disposta dal giudice, sentite le parti, qui l'applicazione dell'istituto è richiesta dall'imputato.

In particolare, si introduce nel codice penale l'articolo 168-bis, volto a prevedere in via generale l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato. In tale articolo si stabilisce che nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

  E’ poi disciplinato il contenuto dell'istituto, prevedendo che la messa alla prova comporta la prestazione di un lavoro di pubblica utilità nonché condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato. Può inoltre comportare l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. È quindi evidente che la messa alla prova può consentire quella realizzazione delle finalità rieducative e riparatorie che la pena non sempre riesce a garantire.

Si prevede poi in cosa debba consistere il lavoro di pubblica utilità, affermando che questa si traduce in una prestazione non retribuita, di durata non inferiore a trenta giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni non lucrative di utilità sociale (le ONLUS). La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.



Si prevede, affinché l'istituto non sia strumentalizzato, che la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non possa essere concessa più di due volte né più di una volta se si tratta di reato della stessa indole. Inoltre si prevede che non possa essere concesso ad una serie di categorie di soggetti pericolosi quali i delinquenti e contravventori abituali o per professione ed i delinquenti per tendenza.

All’articolo 168-ter del codice penale sono disciplinati gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova, prevedendo che durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della prescrizione del reato è sospeso e che si applica l’articolo 161 del codice penale, relativo alla disciplina della sospensione e dell'interruzione della prescrizione.

Si prevede che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede senza pregiudicare l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. Sempre con la finalità di evitare facili strumentalizzazioni dell'istituto, si stabilisce la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni

Ai fini della revoca il giudice dovrebbe fissare apposita udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima dell'udienza.

Un principio fondamentale è quello secondo cui in caso di revoca ovvero di esito negativo della prova, l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non può essere riproposta. Il fatto che il destinatario della sospensione abbia subito la revoca della medesima è un fatto che di per sé dimostra, anche per il futuro, di non essere un soggetto meritevole di misure che comunque rappresentano un beneficio.

Nel codice di procedura penale sono che norme che disciplinano le modalità di applicazione dell'istituto. In primo luogo si prevede all'articolo 464-bis che nei casi previsti dall'articolo 168-bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

La richiesta deve essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta dovrebbe essere formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto la richiesta deve essere presentata con l'atto di opposizione. La volontà dell'imputato deve essere espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.

È estremamente importante il ruolo da affidare all'Ufficio di esecuzione penale esterna affinché possa essere assicurata una efficace applicazione dell'istituto. Si stabilisce che all'istanza dell'imputato sia allegato un programma di trattamento elaborato d'intesa con l'Ufficio di esecuzione penale esterna. Tale allegato deve prevedere necessariamente: le modalità di coinvolgimento dell'imputato, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario; le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità, nonché quelle comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato. A tale fine vengono considerati il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni. Nei procedimenti relativi a reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché a reati previsti dalla normativa vigente in materia di circolazione stradale e di prevenzione degli infortuni e di igiene sul lavoro, tale indicazione è richiesta a pena di inammissibilità dell'istanza.

Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice potrebbe acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato.

E’ poi disciplinata l'ipotesi di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari, prevedendo che il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero per esprimere il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni.. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto unitamente alla formulazione della imputazione. Il pubblico ministero in caso di dissenso deve enunciarne le ragioni. In tal caso l'imputato dovrebbe poter rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado.

E’ stato poi necessario disciplinare il provvedimento del giudice e gli effetti della pronuncia, prevedendo che il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si dovrebbe prevedere che il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, possa disporre la comparizione dell'imputato. Si prevede l’applicazione dell’articolo 127.

La sospensione del procedimento con messa alla prova deve essere disposta quando il giudice reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritenga che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Il giudice potrebbe integrare il programma di trattamento mediante la previsione di ulteriori obblighi e prescrizioni volti a elidere o ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, nonché, ove lo ritenga necessario, obblighi o prescrizioni di sostegno volti a favorire il reinserimento sociale dell'imputato. Si precisa che le ulteriori prestazioni non possano essere disposte senza il consenso dell'imputato.

Sono stati poi fissati i limiti al periodo di sospensione prevedendo che il procedimento non può essere sospeso per un periodo: superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola o congiunta con la pena pecuniaria; superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.

Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova devono poter ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa.

Si è poi disciplinata l'esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento prevedendo che il giudice debba stabilire il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi imposti devono essere adempiuti. Tale termine dovrebbe poter essere prorogato, su istanza dell'imputato, non più di una volta e solo quando ricorrono gravi e comprovati motivi. Il giudice potrebbe altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno. Durante la sospensione del procedimento il giudice, con il consenso dell'imputato e sentito il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova.

Si prevede che durante la sospensione del procedimento il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili ed eventualmente quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato.

Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice dovrà dichiarare con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato, riterrà che la prova abbia avuto esito positivo. A tale fine dovrà essere acquisita la relazione conclusiva dell'Ufficio di esecuzione penale esterna che aveva preso in carico l'imputato.

In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Le informazioni acquisite ai fini e durante il procedimento di messa alla prova non dovranno essere considerate utilizzabili.

Si è disciplinato il computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, prevedendo che il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, debba detrarre un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, dieci giorni di prova dovrebbero essere equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a euro 75 di multa o di ammenda.

L’articolo 464-octies disciplina la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova prevedendo che sia disposta anche d'ufficio dal giudice con ordinanza.

Con un apposito articolo nelle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, sono di disciplinate le attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova. In tale norma si stabilisce che le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova, disposta ai sensi dell'articolo 168-bis del codice penale, sono svolte dagli uffici locali dell'esecuzione penale esterna del Ministero della giustizia, nei modi e con i compiti previsti dall'articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. A tali fini l'imputato dovrebbe rivolgere richiesta all'ufficio di esecuzione penale esterna competente affinché predisponga un programma di trattamento. L'imputato depositerebbe gli atti rilevanti del procedimento penale nonché le osservazioni e le proposte che ritenga di fare. L'ufficio, all'esito di un'apposita indagine socio-familiare, dovrà verificare l'utilità e la praticabilità del programma di trattamento proposto dall'imputato integrandolo o rettificandolo, acquisendo su tale programma il consenso dell'imputato. L'ufficio trasmetterà quindi al giudice il programma, accompagnandolo con l'indagine socio-familiare e con le considerazioni che lo sostengono. Nell'indagine e nelle considerazioni, l'ufficio dovrebbe riferire specificamente sulle possibilità economiche dell'imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonché, ove possibile, sulla possibilità di conciliazione con la persona offesa. Il programma deve essere integrato da prescrizioni di trattamento e di controllo che risultino utili, scelte tra quelle previste dall'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.

Quando sia disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, l'ufficio dovrà informare il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell'attività svolta e del comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione. Alla scadenza del periodo di prova, l'ufficio dovrebbe trasmettere al giudice che procede una relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova medesima. Le relazioni periodiche e quella finale dell'Ufficio dell'Esecuzione penale dovrebbero essere depositate in cancelleria non meno di dieci giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 464-septies con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia.

L’articolo 5 del testo prevede che l’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova sia riportata nel casellario giudiziario affinché ne resti traccia in vista di eventuali successive richieste di applicazione dell’istituto per fatti diversi.

Strettamente connesso al rafforzamento dei compiti degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, si prevede all’articolo 6 che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in relazione alle esigenze di attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova.

Gli articoli da 7 a 13 hanno per oggetto la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili. Anche in questo caso la Commissione ha sostituito la delega con una disciplina direttamente precettiva volta a riformare la materia della contumacia, cancellando tale istituto. Della ratio delle disposizioni in esame si è già detto facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il problema principale è stato quello di definire i casi di sospensione, quando non si riesca a reperire l’imputato, e correlativamente i casi in cui si possa procedere anche in assenza dell’imputato, poiché si è ragionevolmente certi che questi sia a conoscenza del fatto che si sta procedendo. Ma quando si può essere certi di una tale conoscenza? E quando si può essere disposti a sospendere il processo, poiché si reputa o si teme che manchi tale conoscenza?

In linea di massima, l’unico modo per essere davvero certi che l’imputato sia a conoscenza del processo dovrebbe essere la notifica dell’avviso di udienza a mani dell’imputato (salve situazioni straordinarie ed imprevedibili in cui la certezza risulti aliunde). In tutte le altre ipotesi, a partire dalla notifica dell’avviso al convivente, tale certezza non si può dare. L’imputato potrebbe anche essere al corrente che vi è un procedimento aperto nei suoi confronti, ma essere ignaro della celebrazione del processo .

Tenendo conto anche delle audizioni svolte in materia dalla Commissione nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'esame dei progetti di legge abbinati, la disciplina della contumacia si dovrebbe articolare essenzialmente attorno a tre ipotesi: conoscenza certa dell'udienza del processo (udienza preliminare o udienza dibattimentale); conoscenza presunta dell'udienza per conoscenza certa del procedimento, non conoscenza dell'udienza e del procedimento. A queste tre ipotesi dovrebbero poi corrispondere tre situazioni: a) processo in assenza; b) processo in assenza, ma con rimedi ripristinatori per l'imputato che dimostri la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo; c) sospensione del processo. In caso di conoscenza certa da parte dell'imputato della celebrazione del processo (per avere ricevuto a mani la notifica dell'avviso di udienza o per altri indici da cui si evinca «con certezza» tale conoscenza), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato che è rappresentato dal difensore. In caso di conoscenza presunta del processo per conoscenza certa del procedimento (per avere eletto domicilio, essere stato arrestato o fermato, o per avere nominato un difensore di fiducia), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato, ammettendo questo a provare di non avere avuto conoscenza della celebrazione del processo (pur avendo avuto conoscenza del procedimento) e in tal caso all'imputato viene comunque garantito il diritto ad un giudizio di primo o di secondo grado (con eventuale rimessione in termini per la richiesta di riti speciali consensuali, se la mancata conoscenza dell'avviso di udienza era riferibile anche all'udienza preliminare). Qualora sia stata pronunciata condanna passata in giudicato, il giudicato potrebbe essere rescisso e il processo riprendere col dibattimento di primo grado.

In caso di incertezza sulla conoscenza da parte dell'imputato del procedimento si prevede la sospensione del processo. In caso di sospensione, il giudice dovrebbe disporre nuove ricerche almeno allo scadere di ogni anno. La sospensione sospenderebbe il corso della prescrizione, ma non potrebbe protrarsi per un periodo superiore ai termini massimi di prescrizione, decorsi i quali riprenderebbe a decorrere il termine di prescrizione. Si devono poi prevedere rimedi ripristinatori nel caso di processo svolto in assenza, ove si dimostri la incolpevole mancata conoscenza. In questi casi se l'imputato compare nel corso dell'udienza preliminare l'udienza dovrebbe essere rinviata e nel caso (infrequente) in cui siano state assunte prove (con incidente probatorio o prove ex articolo 422 che si siano poi rivelate all'atto dell'assunzione sfavorevoli all'imputato) avrebbe diritto alla rinnovazione delle prove assunte in udienza preliminare e comunque all'acquisizione di prove. Se l'imputato si presenta all'inizio del dibattimento, essendo stato assente nel corso dell'udienza preliminare, deve poter rendere dichiarazioni spontanee ed essere riammesso nel termine per richiedere i riti speciali consensuali. Se l'imputato compare nel corso del dibattimento, si deve rinviare l'udienza, l'imputato essere riammesso nel termine per richiedere i riti speciali e può chiedere l'acquisizione di prove rilevanti e la riassunzione delle prove già assunte, ferma restando la validità degli atti (prove incluse) già compiuti. Se l'imputato viene a conoscenza di una sentenza di condanna in primo grado deve poter presentare appello, chiedendo l'annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (anche in questo caso è rimesso in termini per presentare richiesta di riti speciali). Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna in appello, deve poter presentare ricorso per cassazione per l'annullamento della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna passata in giudicato, deve poter chiedere alla Corte di cassazione la rescissione del giudicato (un istituto in cui si potranno poi innestare anche per i casi di processo dichiarato ingiusto dalla Corte europea dei diritti umani) e la ripartenza del processo dal giudizio di primo grado.

Per quanto attiene ai pareri espressi dal Comitato per la legislazione e dalle Commissioni competenti ci si è limitati ad accogliere i rilievi del Comitato relativamente all’esigenza di prevedere che i decreti correttivi in materia di pene detentive non carcerarie debbano rispettare i principi e criteri direttivi relativi alla delega principale. Per il resto le indicazioni delle altre Commissioni non sono state ritenute rilevanti.

In merito all’utilizzo del termine rescissione del giudicato utilizzato nel nuovo articolo 652-ter, si rileva che in realtà, al contrario di quanto indicato nel parere del Comitato, non si tratta di una indebita traslazione nell’ambito penale di una nozione civilistica, considerato che in dottrina viene utilizzato per individuare un effetto diretto a togliere efficacia al giudicato per ragioni sopravvenute. Qualora comunque si ritenesse di non utilizzare il termine della rescissione, si potrebbe utilizzare quello di revoca del giudicato.

Con riferimento ai rilievi della I Commissione non si è ritenuto che contrasti con il principio di uguaglianza il principio e criterio direttivo di delega secondo cui nella fase di esecuzione della pena il giudice può sostituire la pena detentiva non carceraria con quella carceraria qualora non risulti disponibile un luogo diverso dal carcere idoneo ad assicurare la custodia del condannato, ritenendo che l’ordinamento già conosca situazioni del genere senza che ciò abbia determinato alcuna censura di costituzionalità. In ordine alla eventuale violazione dell’articolo 36 della Costituzione a causa della mancata retribuzione del lavoro di pubblica utilità, si ricorda che l'istituto della messa alla prova è in realtà un affidamento in prova processuale, una misura alternativa ,anticipata (rispetto alla sentenza di condanna ) su base volontaria - così come il patteggiamento , dal cui buon esito -l'imputato ricava il beneficio dell'estinzione del reato. Si tratta di un istituto al quale non può essere applicata la disciplina lavoristica e tantomeno l’art. 36 della Costituzione ma si deve inquadrare nell'art. 27 della cost.

Vi è un in sostanza accertamento affievolito di responsabilità (il giudice deve comunque escludere la sussistenza di cause evidenti di proscioglimento) compensato dalla richiesta volontaria e dal beneficio dell'estinzione del reato. A tale proposito si ricorda che quando viene revocato il beneficio, in ogni caso il lavoro di pubblica utilità viene convertito, calcolato e detratto dalla pena che verrà comminata.

L'altra osservazione che non è stata accolta ma che potrebbe essere valutata ai fini dell’esame in Assemblea riguarda l’opportunità di fare riferimento al nucleo familiare ed in particolare al suo ruolo ed alla sua pulsione per quanto attiene la definzione del programma di trattamento. Si potrebbe in particolare meglio specificare tale nozione in relazione alle specifiche ipotesi delittuose oggetto di messa alla prova, fino addirittura ad escluderla in riferimento a determinati reati.

Meritevole di attenzione è l’osservazione della Commissione affari sociali con la quale si chiede alla Commissione di merito di valutare l’opportunità di prevedere all'articolo 6 che il Ministro della giustizia non si limiti a svolgere un'attività di monitoraggio ma che indichi strumenti, risorse e tempi certi in relazione all'adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.

In questo caso il vero problema è rinvenire la copertura economico-finanziaria.



Lettera dei Garanti al Ministro della Giustizia e ai Vertici DAP

Firenze, 19 ottobre 2012


Prot. n.17417/1.16.3.3

Al Ministro della Giustizia Paola Severino

Al Capo Dipartimento

dell’Amministrazione Penitenziaria

Giovanni Tamburino

Al Vicecapo Dipartimento dell’Amministrazione

Penitenziaria Simonetta Matone

Al Vicecapo Dipartimento dell’Amministrazione

Penitenziaria Luigi Pagano

e p.c. Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Questo non era mai successo

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 28 luglio 2011 definì la questione del carcere “di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” e che ha raggiunto un “punto critico insostenibile”. Il Presidente Napolitano segnalava “l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”. Questa denuncia fu ribadita il 27 aprile in un incontro al Quirinale con i Garanti dei diritti dei detenuti alla presenza del Capo del DAP Tamburino.
Le parole del Presidente Napolitano sono cadute nel vuoto e le scelte di politica del Governo paiono in netta contraddizione.
Le notizie relative al riesame della spesa della Amministrazione penitenziaria ci impongono alcune osservazioni di merito e di legittimità sulla tenuta del sistema che viene compromessa nella sua corrispondenza costituzionale.

Il primo rilievo da fare riguarda la eliminazione della spesa per l’ordinaria e straordinaria manutenzione dei fabbricati. L’Amministrazione penitenziaria è in possesso di un patrimonio consistente, che non può essere abbandonato senza alcuna manutenzione. Sarebbe da imputare alla responsabilità della stessa Amministrazione il degrado dei suoi beni e la necessità di interventi successivi, che possono imporre maggiori spese dinanzi a un degrado cresciuto nel tempo fino ad arrivare all’abbandono definitivo dei beni stessi, che imporranno spese maggiori per la sostituzione di nuovi fabbricati a quelli degradati e non più utilizzabili. Chi è al possesso di un bene pubblico ed è la amministrazione pubblica che ne ha il possesso ha un dovere (e la responsabilità se non lo adempie) di manutenzione, che la assoluta mancanza di risorse gli impedisce di rispettare.

Analoga mancanza di risorse economiche impedisce l’attuazione di attività essenziali per la esecuzione della pena: lo svolgimento di attività lavorativa e di formazione professionale, lo svolgimento di corsi scolastici (che fanno capo alla Pubblica istruzione, ma male si prestano ad essere attivati con le normali regole della scuola), la prestazione di assistenza sanitaria, compresa quella psichiatrica (che fa capo alla Regione, ma viene limitata anche nei confronti di questa), l’assistenza psicologica (ancora a carico DAP), essenziale per la prevenzione suicidi, nonché la fornitura di materiali per la pulizia dei locali di vita, necessaria per evitarne l’ulteriore degrado. Insomma e per sintesi, lo svolgimento delle altre attività previste, cui la Amministrazione penitenziaria è impegnata ai sensi della L. 26/7/1975, n. 354 e successive modifiche. L’omissione di tutte queste attività è stata più volte censurata dalla Corte Europea per i Diritti dell’uomo nei confronti del nostro Stato, ma la radicale soppressione delle risorse economiche renderà inevitabili e sempre più numerose le omissioni precedenti. Con la conseguenza di nuove spese derivanti dalle condanne in sede europea.

In questo quadro suscita meraviglia il mantenimento della spesa per la fornitura e la messa in funzione di braccialetti elettronici, prevista dall’art. 47ter, comma 4bis Ord. Penit., che, per le sue rare applicazioni, andrebbe soppresso.

Il riesame della spesa va oltre: c’è di più e di peggio. C’è la riscrittura della normativa riguardante aspetti centrali ed essenziali della organizzazione penitenziaria. Anche questo è conseguente a un riesame della spesa, che, a nostro avviso, non può arrivare a tanto. Si tratta di un autentico programma di ristrutturazione che cambia radicalmente l’Amministrazione penitenziaria, in modo da incidere fortemente sui suoi fini e sulle sue funzioni, che cessano di essere quelle previste dalla Costituzione e dall’Ordinamento penitenziario. Risulta scritto per nulla il nuovo Regolamento di esecuzione, n. 230/2000 con il risultato che se ne dovrà fare un altro. Quella che emerge è una istituzione di sola contenzione, che comincia dalla soppressione delle direzioni in molti istituti di modeste dimensioni. Questi istituti vengono abbinati ad altri maggiori (per l’intero territorio nazionale si parla di circa un centinaio di istituti senza direzione autonoma). Questa attribuzione plurima delle direzioni, porterà inevitabilmente alla scarsa presenza dei direttori presso gli istituti aggiunti. Se gli stessi si trattengono negli istituti di maggiori dimensioni, il loro impegno presso gli stessi sarà assorbente e ci sarà poco tempo per gli altri. Non c’è da preoccuparsi: provvederà un commissario della polizia penitenziaria, presente ovunque, tanto più che è da tempo alla conclusione un concorso per un numero elevato di commissari di polizia penitenziaria, mentre da oltre 20 anni non viene espletato un concorso per direttori degli istituti. Accadrà così che gli istituti minori, quasi la metà dell’intero complesso, verranno autogestiti dalla Polizia penitenziaria, cioè da chi ha la funzione della sicurezza. Sarà inevitabilmente questa funzione a prevalere. Il passo verso il carcere di contenzione è breve. La scarsità del personale restante, che sembra si voglia ancora ridurre, lo rende inevitabile.

D’altronde, l’altra misura che si prevede è quella della riduzione di molte sedi di servizio sociale. Parrebbe che, per le singole regioni ne resti una sola, quella del capoluogo. La impossibilità di spostarsi (per assenza di auto o di benzina, se le auto ci sono), nonché il territorio molto vasto su cui operare, renderà lunghissimi i tempi per le relazioni di servizio sociale da trasmettere ai Tribunali di sorveglianza e probabilmente, in molti casi, lo renderà impossibile. Anche le funzioni di aiuto e controllo sul territorio, cui è dedicata la sentenza costituzionale n. 343 del 1987, che le ha costituzionalizzate, diventeranno impraticabili.

E per finire, la ciliegina sulla torta avvelenata: la soppressione della Direzione generale esecuzione penale esterna.

Un carcere di sola contenzione è più economico. L’economia è il precetto che va rispettato ma ci va di mezzo un principio costituzionale, l’art. 27 comma 3 Cost., per il mancato adempimento del quale l’Italia è sempre più frequentemente condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Tutto ciò avviene con una procedura che, nel suo tratto finale, è di carattere amministrativo.

La Costituzione modificata per via amministrativa. Questo non era mai successo.

I Garanti regionali

Campania

Lazio

Lombardia

Marche

Puglia

Toscana

Emilia Romagna

Il Garante provinciale

Massa Carrara

I Garanti comunali

Bologna

Ferrara

Firenze

Livorno

Pisa

Pistoia

Reggio Calabria

Roma

Rovigo

Sassari

Udine

Verona

Vicenza

lunedì 22 ottobre 2012

23.10.2012 Inizia Discussione alla Camera del disegno di legge in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili

CAMERA DEI DEPUTATI





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XVI LEGISLATURA





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707^ SEDUTA PUBBLICA



Martedì 23 ottobre 2012 – Ore 14,30





ORDINE DEL GIORNO

1.Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):



Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012). (C. 5019-bis-A) e degli abbinati progetti di legge: Pecorella ed altri; Bernardini ed altri; Vitali e Carlucci; D’INIZIATIVA DEL GOVERNO; Ferranti ed altri; Ferranti ed altri. (C. 879-2798-3009-3291-ter-4824-5330)

Relatori: Costa e Ferranti, per la maggioranza; Nicola Molteni, di minoranza

Emendamenti Approvati commissione Giustizia- Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. C. 5019-bis Governo, C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 3291-ter Governo, C. 2798 Bernardini, C. 3009 Vitali e C. 5330 Ferranti.

ALLEGATO 4


Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. C. 5019-bis Governo, C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 3291-ter Governo, C. 2798 Bernardini, C. 3009 Vitali e C. 5330 Ferranti.

EMENDAMENTI APPROVATI

ART. 2.

  Al comma 1, capoverso «ART. 168-bis», al comma 3, sostituire le parole: di durata non inferiore a dieci giorni con le seguenti: di durata non inferiore a trenta giorni, anche non continuativi.

2. 10. (Nuova formulazione) Nicola Molteni, Lussana, Follegot, Paolini, Isidori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 168-ter», al comma 1, aggiungere, in fine, le seguenti parole: e non si applicano le disposizioni del primo comma dell'articolo 161.

2. 16. (Nuova formulazione) Cirielli.

  Al comma 1, capoverso «ART. 168-bis», comma 3, sostituire le parole: enti od organizzazioni di assistenza sociale di volontariato con le seguenti: enti o organizzazioni non lucrative di utilità sociale.

2. 11. Nicola Molteni, Lussana, Follegot, Paolini, Isidori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 168-bis», dopo il comma 4 aggiungere il seguente:

   4-bis. La sospensione del processo con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.

2. 15. (Nuova formulazione) Contento.

  Al comma 1, capoverso articolo 168-quater, sopprimere i commi 2 e 3.

  Conseguentemente all'articolo 3, comma 1, lettera b), dopo il capoverso articolo 464-septies aggiungere i seguenti:

  «ART. 464-octies. – (Revoca dell'ordinanza). – 1. La revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta anche d'ufficio dal giudice con ordinanza.

  2. A tal fine il giudice fissa apposita udienza ai sensi dell'articolo 127 per la valutazione dei presupposti della revoca, dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima.

  3. L'ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge.

  4. Quando l'ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l'esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti.

  ART. 464-novies. – (Divieto di riproposizione della richiesta di messa alla prova). – 1. Nei casi di cui all'articolo 464-septies, comma 2, ovvero di revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'istanza non può essere riproposta.

2. 17. (Nuova formulazione) I Relatori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 168-quater», sopprimere la lettera b).

2. 100.  I Relatori.

ART. 3

  Al comma 1, lettera a), capoverso «ART. 464-bis», comma 4, lettera b), dopo le parole: normativa vigente in materia di inserire le seguenti: circolazione stradale e di.

3. 50.  Sisto.

  Al comma 1, capoverso «ART. 464-ter», al primo comma sostituire le parole da fissa con decreto fino alla fine del periodo con le seguenti trasmette gli atti al pubblico ministero per esprimere il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni.

  Conseguentemente al quarto comma del medesimo capoverso sostituire le parole: se ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero con le seguenti: , se ritiene la richiesta fondata.

3. 100.  I Relatori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 464-quater», al primo comma, aggiungere in fine il seguente periodo: Si applica l'articolo 127.

3. 200.  I Relatori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 464-quater», al terzo comma, sopprimere la seguente parola ulteriori.

3. 300.  I Relatori.

  Al comma 1, capoverso «ART. 657-bis», al comma 1 sostituire le parole dieci giorni con le seguenti tre giorni e le parole euro 75 con le seguenti euro 250.

  Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere comma 2.

3. 400.  I Relatori.

ART. 9.

  Dopo l'articolo 9 inserire il seguente:

ART. 9-bis.

  Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli Uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in relazione alle esigenze di attuazione del Capo II della presente proposta di legge.

9. 1.  I Relatori.

  Dopo l'articolo 9, inserire i seguenti:

ART. 9-bis.

(Modifica alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).

  1. Alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo l'articolo 143 è inserito il seguente:

   «ART. 143-bis. – (Adempimenti in caso di sospensione del processo in assenza dell'imputato). – 1. Quando il giudice dispone la sospensione ai sensi dell'articolo 420-bis del codice, la relativa ordinanza ed il decreto di fissazione dell'udienza preliminare ovvero il decreto che dispone il giudizio o il decreto di citazione a giudizio sono trasmessi alla locale sezione di polizia giudiziaria, per l'inserimento nel centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1o aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni».

ART. 9-ter.

(Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziario, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313).

  1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziario, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 3, comma 1, dopo la lettera i) è inserita la seguente:

    «i-bis) i provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell'articolo 420-bis del codice di procedura penale»;

   b) all'articolo 5, comma 2, dopo la lettera l) è aggiunta la seguente:

    «l-bis) ai provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell'articolo 420-bis del codice di procedura penale, quando il provvedimento è revocato».

9. 01. Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.

venerdì 19 ottobre 2012

Parere commissione affari sociali camera Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili

CAMERA DEI DEPUTATI

Giovedì 18 ottobre 2012

722.

XVI LEGISLATURA

BOLLETTINO DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI

Affari sociali (XII)

ALLEGATO

BOZZA NON CORRETTA

ALLEGATO

Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Nuovo testo C. 5019-bis Governo.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La XII Commissione,

esaminato, per le parti competenza, il disegno di legge C. 5019-bis, recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», come risultante dagli emendamenti approvati;

valutato, in generale, positivamente l'incremento del ricorso all'istituto della messa alla prova;

ritenuto altresì che, essendo le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova svolte dagli uffici locali dell'esecuzione penale esterna del Ministro della giustizia, è necessario che tali strutture dispongano di strutture e di risorse adeguate allo svolgimento dei nuovi compiti loro assegnati;

risulta, infatti, che negli ultimi dieci anni questo settore abbia subito una drastica riduzione di personale e di risorse;

preso atto dell'articolo 4-ter del provvedimento in titolo, ai sensi del quale il Ministro della giustizia, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, esprime:

PARERE FAVOREVOLE


con la seguente osservazione: valuti la Commissione di merito l'opportunità di prevedere, alla predetta disposizione di cui all'articolo 4-ter, che il Ministro della giustizia non si limiti a svolgere un'attività di monitoraggio ma che indichi strumenti, risorse e tempi certi in relazione all'adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.



giovedì 18 ottobre 2012

Il 15 ottobre Il DAP ha incontrato le OO.SS. Resoconto FPCGIL

Si è svolto il giorno 15 ottobre l'incontro con i vertici dell'amministrazione sulla tematica riguardante la realizzazione dei circuiti detentivi regionali ex art.115 dpr n.230/2000 cui fa riferimento la circolare n. GDAP 206745/2012 del 28 giugno 2012 che propone un nuovo modello organizzativo, centrato a nostro parere su una visione particolarmente custodialistica della detenzione, finalizzato all' integrazione e alla multidisciplinarietà degli interventi professionali che risultano essere gli elementi fondamentali per la realizzazione degli obiettivi istituzionali di cui all'art. 27 della costituzione.

La tematica che a nostro parere, non può connotarsi elemento innovativo della politica penitenziaria, è stata oggetto di ampia esposizione e disquisizione da parte dell'amministrazione che ha evidenziato la necessità di un rilancio dell'azione trattamentale nel sistema detentivo prevedendo una più ampia condivisione delle responsabilità delle diverse professionalità che a vario titolo intervengono nel contesto nel superamento della dicotomia sicurezza e trattamento.

Nella consapevolezza che tale assunto rappresenta la finalità del mandato istituzionale del sistema penitenziario nonché l'espressione degli interventi operativi che le diverse professionalità esprimono nel contesto, questa O.S. ha evidenziato che la discussione sul tema in questione non può essere affrontata senza tener conto delle cogenti problematiche che investono il settore determinate dai forti tagli alle risorse e agli organici previsti dalla spending review né tanto meno dalla rivisitazione dell'organizzazione del sistema penitenziario centrale e periferico che ci risulta essere stata predisposta dall'amministrazione e al vaglio del capo di gabinetto del ministro della Giustizia.

A tal proposito abbiamo contestato la modalità elusiva dell'amministrazione alle nostre richieste di incontro e soprattutto di informazione riguardo tali tematiche evidenziando che le stesse sono materia di consultazione con le OO.SS. e che il silenzio dell'amministrazione sta comportando incertezza e disagio tra i lavoratori.

Abbiamo rappresentato e contestato la visione particolarmente carcerocentrica della gestione dell'esecuzione penale nel suo complesso, una visione che evidenzia una forte regressione culturale nella gestione dell'esecuzione della pena, che svilisce depauperandolo il sistema dell'esecuzione penale esterna, in contraddizione con gli intendimenti e le proposte di legge proposti dal Ministro finalizzati all'incentivazione delle misure alternative alla detenzione e al superamento della fase prettamente detentiva. A tal proposito abbiamo citato le pressanti voci che intercorrono riguardo la soppressione della DGEPE e degli Uffici EPE presso i PRAP,ecc.

Abbiamo infine ribadito la necessità di poter assumere notizie certe riguardo il futuro del sistema penitenziario e delle professionalità ad esso afferenti, Dirigenti penitenziari e di UEPE, educatori, assistenti sociali,contabili ed amministrativi, evidenziando che l'amministrazione reiterando nel suo atteggiamento di chiusura alla comunicazione ed alle normali relazioni sindacali, rischia di sollecitare il fallimento del sistema già allo stremo.

L'amministrazione a fine incontro ha comunicato che il Ministro della Giustizia incontrerà le OO.SS. a fine ottobre.

Vi terremo informati sugli sviluppi della questione e sulle iniziative di prerogativa sindacale che potremo avviare.

Roma, 18 ottobre 2012





La Coordinatrice Nazionale DAP

Lina Lamonica



mercoledì 17 ottobre 2012

Giustizia: appello Assistenti sociali al ministro Severino, per il potenziamento degli Uepe


Redattore Sociale, 16 ottobre 2012

In una petizione online la richiesta di rilanciare le misure alternative e gli uffici di esecuzione pensale esterna. “In dieci anni perso il 40% del personale e subito la drastica riduzione delle scarse risorse disponibili”.

Rilanciare le misure alternative al carcere e potenziare gli Uffici di esecuzione penale esterna. A chiederlo con forza sono gli assistenti sociali in una petizione online indirizzata al ministro Paola Severino, che ha già raccolto centinaia di adesioni nel modo della società civile.

Nell’appello si esprime interesse e soddisfazione per l’inizio dei lavori in Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie e di altri 6 disegni di legge. Nello stesso tempo, però, gli operatori ribadiscono che l’approvazione di una così importante e attesa riforma non può non prevedere contestualmente il potenziamento degli Uffici per l’esecuzione penale esterna e degli stessi operatori che lavorano in tali servizi, “in continuo decremento a seguito dei diversi provvedimenti di contenimento della spesa pubblica nonchè di mancate sostituzioni (ultimo concorso risale al 1999)”.

“Sosteniamo con convinzione la scelta del Ministro di dare priorità alle misure alternative, auspichiamo la rapida approvazione delle proposte all’attenzione del Parlamento e confermiamo il nostro impegno pieno e leale per la realizzazione di tale indirizzo - si legge in una lettera inviata nei mesi scorsi al ministro e al capo del Dap Giovanni Tamburino. Allo stesso tempo siamo consapevoli che l’ampliamento delle alternative al carcere, senza un forte intervento che consenta all’amministrazione penitenziaria di gestire efficacemente tali misure, renderebbe probabile il rischio di eventi critici, a causa della perdurante impossibilità degli uffici di esecuzione penale esterna di assicurare il livello adeguato di presenza nel territorio che caratterizza le misure di community service. Siamo seriamente preoccupati per gli effetti negativi che potrebbero avere, anche nell’opinione pubblica, gravi défaillance nella gestione delle misure, per i danni all’immagine dell’Amministrazione ed al sistema stesso delle alternative alla detenzione”.

Pur con la consapevolezza delle scarse risorse a disposizione, gli operatori ritengono che sia possibile un trasferimento di investimenti dal carcere agli Uffici che si occupano di misure alternative. “Solo un reale investimento sull’esecuzione penale esterna potrà avere un positivo esito sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri”, sottolineano. Nella lettera si ribadisce che da dieci anni l’Amministrazione non assegna risorse e personale al settore: “nel periodo 2006-2012, siano state assunte 3890 unità destinate solo al settore detentivo; nel frattempo l’esecuzione penale esterna ha perso il 40% del personale e ha subito la drastica riduzione delle scarse risorse disponibili. Siamo consapevoli di quanto la situazione delle carceri sia difficile, né chiediamo di sottovalutare la necessità di porvi rimedio; pensiamo, tuttavia, che non sia utile per l’Amministrazione penitenziaria, né prudente in previsione dell’incremento delle misure alternative, mantenere nell’attuale stato di sofferenza (operativa, organizzativa e direzionale), di mancanza di indirizzi e coordinamento un settore che, nonostante tutto, solo nel 2011 ha assicurato 150.000 interventi e oltre 52.000 giornate di presenza nel territorio”.

Inoltre si ricorda che gli Uepe eseguono un numero di misure alternative (22.000) uguale a quello in corso prima dell’indulto, ma hanno il 40% di operatori in meno; “il personale di servizio sociale si reca quotidianamente nei luoghi più rischiosi, quasi sempre da solo e senza auto di servizio: dalle Vele di Scampia, ai campi nomadi delle periferie urbane, da Tor di Quinto a Roma, alle Serre catanzaresi, alle campagne della Locride, alle aree deindustrializzate del nord.

Eppure non si lamenta, né protesta, diversamente da altre, ben più tutelate e ascoltate, componenti dell’Amministrazione - concludono. Gli operatori degli Uepe dimostrano ogni giorno lo spirito di servizio che li anima; per tale ragione meritano di non essere lasciati soli nel compiere il loro lavoro.

23 ottobre il ddl per pene detentive non carcerarie approderà in Aula alla Camera



Asca, 16 ottobre 2012

In Commissione Giustizia oggi riprende l'ampio confronto sul ddl 5019-b di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.

Il provvedimento è anche al vaglio della Bilancio per l'approfondimento delle proposte emendative. Il Ministro Paola Severino ha più volte ribadito la necessità ed urgenza di questo intervento normativo anche per attenuare l'emergenza del sovraffollamento carcerario. Per accelerare l'iter è stato predisposto il nuovo testo base dal quale è stato stralciato l'originario articolo 2 riguardante la depenalizzazione.

Severino: domani ok commissione Camera ddl messa a prova

Si sblocca l'iter del ddl sulle misure alternative al carcere in commissione Giustizia alla Camera. È stata Paola Severino, ministro della Giustizia, ad annunciarlo alla Camera ai cronisti al termine della seduta della commissione: "La presidente Bongiorno - ha spiegato - mi ha garantito che entro domani la commissione voterà il provvedimento". La guardasigilli ha sottolineato con soddisfazione che il ddl è già calendarizzato per l'aula della Camera il 23 ottobre prossimo, ed ha ricordato che il provvedimento fa parte di un disegno complessivo di attacco al sovraffollamento carcerario in parte contenuto del decreto salva-carceri e in parte in questo disegno di legge. "Questa parte di misure sulla messa alla prova e sulla detenzione domiciliare come pena principale non era nel decreto perché pendevano in Parlamento dei disegni di legge sull'argomento e non sarebbe stato corretto sovrapporsi alla volontà parlamentare. Quindi presentammo un disegno di legge ma chiedemmo una corsia preferenziale".

Il ministro Severino ha anche precisato di aver "pienamente condiviso" lo stralcio delle norme sulla depenalizzazione, perché frutto del lavoro di una commissione insediata prima della nascita del Governo Monti e che riguardava "fattispecie molto limitate. Occorre stabilire - ha aggiunto - cosa deve avere sanzione penale e cosa deve restare fuori, non ci interessano norme manifesto, preferiamo prendere un po' di tempo in più".

Marcenaro (Pd): bene calendarizzazione ddl su misure alternative

"La decisione della Capigruppo della Camera di calendarizzare per il 23 ottobre il ddl di messa alla prova e di misure alternative alla detenzione è una buona notizia, la speranza è che la discussione proceda speditamente e non venga in alcun modo ostacolata". È quanto afferma il senatore del Partito democratico Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama. 'Le notizie di continui suicidi tra i detenuti impongono che la questione carceri sia affrontata e risolta con interventi strutturali - sottolinea Marcenaro. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza, come evidenziano chiaramente i dati: 67 mila carcerati a fronte di 44 mila posti disponibili, quattro morti nelle ultime 72 ore che portano a 45 il bilancio dei detenuti che hanno deciso di togliersi la vita nel 2012, ai quali vanno aggiunti 8 agenti della polizia penitenziaria. L'urgenza di accelerare sul fronte dell'attivazione di pene non detentive è nei fatti. Ed è per questo che mi auguro l'approvazione del ddl in discussione in tempi rapidi". "È un quadro questo - conclude l'esponente Pd - che può permettere al Parlamento di prendere in considerazione misure di clemenza".

Intervento SIDIPE Realizzazione circuito regionale ex art. 115 DPR 30 giugno 2000, n. 230


Incontro D.A.P.-OO.SS. del 15.10.2012 su convocazione GDAP-0353750-2012 del 04.10.2012

INTERVENTO DEL SEGRETARIO NAZIONALE SI.DI.PE.

Anzitutto desideriamo ringraziarLa per questo incontro.

Deve principalmente apprezzarsi, infatti, l’approccio metodologico che vede il preliminare passaggio, come oggi, del confronto con le organizzazioni sindacali, pur non vertendosi su materie oggetto di negoziazione, riguardo a questioni che afferiscono alla gestione penitenziaria e che, quindi, incidono sull’organizzazione del sistema penitenziario e, conseguentemente, sull’impiego e sul modus operandi impresso agli operatori penitenziari.

Quando nel maggio scorso fu emanata la circolare sui circuiti penitenziari regionali (gdap-0206745- 2012 del 30.05.2012) tirammo già un respiro di sollievo, non solo perché veniva superata la circolare del novembre 2011, che aveva ipotizzato un modello di classificazione delle persone detenute per “bollini”, tanto teorico quanto inutile e difficoltoso, ma anche perché ci è parso un modo più razionale, pragmatico e funzionale di guardare al carcere, secondo una visione regionale, quindi territoriale, ma di insieme.

Ci è parso un modello rispondente ad una visione più moderna del penitenziario, anche per quella

dimensione di valorizzazione del trattamento rieducativo dei detenuti rappresentata dalle sezioni e dagli istituti a “regime aperto”, in una dimensione che coinvolge tutti gli istituti di “media sicurezza”.

Ci è sembrato che questo modello per un verso si proponga, in un certo senso, come un’estensione dell’esperienza degli istituti sperimentali del recente passato ed a custodia attenuata, e che, per altro verso, vada oltre quelli, in una dimensione di ordinarietà custodiale che supera, per i detenuti di bassa pericolosità, la logica dell’eccessiva perimetrazione degli spazi di vita, rispondenti a logiche gestionali e modus operandi mai reingegnerizzati per i quali sicurezza e trattamento restavano concetti dicotomici, a favore di un’azione più integrata e sinergica tra gli operatori penitenziari tradizionalmente della sicurezza e quelli tradizionalmente del trattamento, chiamati insieme a verificare l’idoneità al regime aperto.

Sotto questo profilo riteniamo, tuttavia, debba essere centrale il ruolo della formazione del personale, purtroppo oggi troppo sacrificata a causa delle scarse risorse finanziarie e che, invece,

dovrebbe essere potenziata affinché il nuovo modello possa essere adeguatamente compreso e assimilato, condizione questa essenziale perché possa trovare attuazione efficace attraverso la condivisione di tutti gli operatori penitenziari.

Ci è parso che in questo nuovo modello la maggiore apertura del detenuto a bassa pericolosità sia

finalizzata non solo a rendere la pena più conforme all’ordinamento penitenziario, alla Costituzione ed alle norme internazionali ma anche ad un potenziamento delle attività di osservazione e trattamento, giacché una pena meno segregativa consente agli operatori penitenziari di osservare il detenuto meglio ed in modo meno artificiale di quanto avviene in un colloquio da scrivania, in un contesto meno rigido e più realistico nel quale il soggetto si pone a contatto con i compagni e gli operatori in modo più naturale.

In questo senso ci è sembrato che questo nuovo modello di sezioni o istituti “a regime aperto” sia concepito come funzionale e propedeutico all'accesso alle misure alternative alla detenzione, che il

tentativo di stimolare il senso di responsabilità della persona detenuta intenda passare non dalla sottoscrizione di un mero atto formale, il patto di responsabilità, ma principalmente attraverso un’attività importante di osservazione da parte degli operatori del trattamento (i funzionari giuridico-pedagogici per l’osservazione dentro il carcere ed i funzionari di servizio sociale per predisporre i contatti con la famiglia e il territorio ai fini del reinserimento sociale della persona detenuta) e da parte della stessa polizia penitenziaria, che la vigente normativa non relega a meri compiti di “vigilanza” ma anzi gli attribuisce anche funzioni di partecipazione all’osservazione e al trattamento rieducativo dei detenuti, sotto la supervisione ed il coordinamento del direttore dell’istituto che, per legge, è il responsabile del trattamento penitenziario oltre che della sicurezza.

Già in passato e di recente nel mese di aprile in pubblica conferenza noi avevamo dichiarato che occorreva un modello nuovo di esecuzione della pena in carcere, un modello che andasse nella direzione della responsabilizzazione del detenuto e non solo del suo contenimento, un modello nel quale il trattamento trovasse la principale risorsa nel lavoro penitenziario.

Signor Presidente, questo nuovo modello di carcere, che tanto trova la nostra approvazione ed il nostro apprezzamento, rischia tuttavia di essere inattuabile o, comunque, se attuato rischia di essere qualcos’altro e di non raggiungere gli obiettivi che sembra volersi prefiggere.

• La gravissima situazione di emergenza penitenziaria, pure dichiarata dal Governo;

• il dramma del sovraffollamento delle carceri, contenitori di quasi 67.000 detenuti a fronte di una capienza complessiva di 45.000 posti;

• l'assoluta insufficienza delle risorse finanziarie e umane;

• il depauperamento dei dirigenti penitenziari, tanto del ruolo di istituto penitenziario, chiamati a gestire l’emergenza delle carceri) quanto - e ancor piú – del ruolo di esecuzione penale esterna, chiamati a concorrere alla gestione di questa emergenza attraverso l’attuazione alle misure alternative alla

detenzione, volano essenziale per decongestionare le carceri;

• la grave carenza di personale penitenziario di tutti i profili professionali e, in particolare: l’irrisorietà di funzionari giuridico-pedagogici, la quasi sparizione dei funzionari di servizio sociale, la carenza di organico, pari a circa 7000 unitá, del personale di polizia penitenziaria.

Questo é il quadro drammatico di un'emergenza penitenziaria mai vista prima e per la cui quotidiana gestione, perché siano contenuti i danni, sono chiamati i dirigenti penitenziari, con gli altri operatori, ed è su questa emergenziale situazione che si sta abbattendo lo tzunami della spending review che finirà con il privare ogni carcere del suo direttore, situazione gravissima perché il direttore è il primo garante dei principi di legalità nell’esecuzione penale, essendo ad egli demandato dall’ordinamento il compito di assicurare l’essenziale equilibrio tra le esigenze di sicurezza (penitenziaria e della collettività) e quelle del trattamento rieducativo delle persone detenute.

Per questa ragione il Si.Di.Pe. si é tempestivamente mosso per la presentazione dell'Ordine del giorno della Camera dei Deputati n. 9/5389/53 del 07.08.20121 che << impegna il Governo: a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di interpretare l'articolo 2, comma 7, del D.L 95/2012 nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed in tal senso interpretare la deroga prevista per le forze di polizia già dal precedente provvedimento normativo (articolo 1, comma 5, decreto-legge n. 138/2011) che non ha trovato attuazione>> e che riguarda anche il restante personale penitenziario2.

E’, quindi, indispensabile in via del tutto preliminare e propedeutica avere assicurazione formale da

parte del Governo che sarà data piena attuazione all’ordine del giorno e che, conseguentemente, dalla riduzione degli organici sia esclusa l’Amministrazione penitenziaria in quanto, come Lei stesso ha dichiarato, Signor Presidente, l’applicazione dei tagli di organico statuiti nel Decreto Legge 6 luglio 2012 n.95 produrrebbero gravi conseguenze sull’organizzazione dell’Amministrazione, poiché tale ulteriore riduzione rispetto alle precedenti comprometterebbe la tenuta del sistema penitenziario.

Sappiamo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha segnalato agli Organi competenti la grave destabilizzazione del sistema che conseguirebbe all’applicazione dell’art. 2, comma 5, del D.L. n.95/2012 e che ha evidenziato che l’Amministrazione per essere amministrazione di sicurezza è inserita dalla dizione della norma tra quelle destinatarie dell’esclusione di cui all’art.2, comma 7 del medesimo Decreto Legge, perché l’esecuzione della pena e delle misure cautelari detentive contribuisce ad assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica e, in tal senso, il sistema penitenziario costituisce nel suo insieme articolazione appartenente alla complessiva struttura di sicurezza dello Stato3. Le preoccupazioni del Si.Di.Pe. sono reali e allo stato non lasciano spazio ad alcun ottimismo, atteso che sino ad ora nessuna rassicurazione è pervenuta a riguardo.

Anzi, continuano pure a susseguirsi voci allarmanti di liste di proscrizione per dirigenti penitenziari

da pensionare, di soppressione di posti di funzione dirigenziale, di accorpamenti di sedi penitenziarie, di declassamento a sedi non dirigenziali di molti uffici, addirittura di rischi di mobilità e persino di licenziamenti.

E tutto questo mentre i dirigenti penitenziari devono gestire un’emergenza penitenziaria mai vista

prima e senza che ad essi sino ad oggi sia stato riconosciuto alcuno dei diritti discendenti dalla legge 154/2005 istitutiva della carriera dirigenziale penitenziaria, infatti i dirigenti penitenziari.

Un carcere, sia pure il più piccolo, senza direttore, armonizzatore delle esigenze di sicurezza e di

quelle trattamentali, sposterebbe l’asse gestionale, per forza di cose, su altre figure e se dovessero venire meno le già ridotte figure professionali del trattamento (anzitutto funzionari giuridico-pedagogici e funzionari della professionalità di servizio sociale) questo asse non potrà che ruotare intorno al personale di polizia penitenziaria, cosicché la dimensione del penitenziario diverrà per forza di cose prevalentemente sicuritaria e, quindi, meramente custodiale; così, uffici di esecuzione penale esterna svuotati di dirigenti e di funzionari della professionalità di servizio sociale non sarebbero in grado di funzionare e le misure alternative alla detenzione non troverebbero alcuna possibilità di applicazione, cosicché l’asse dell’esecuzione penale si sposterebbe totalmente sul carcere, con conseguenze di sovraffollamento ben peggiori di quelle alle quali stiamo assistendo oggi con circa 67.000 detenuti stipati nelle celle.

Signor Presidente, La ringraziamo per aver rappresentato al Ministro della Giustizia la gravità della

situazione ma La preghiamo, sentitamente e sinceramente, di volersi fare portavoce nuovamente con il Guardasigilli di questo grido d’allarme dei Dirigenti penitenziari.



Ringrazio per l’attenzione.

Il Segretario Nazionale

Rosario Tortorella



1 Seduta di annuncio: 678 del 07/08/2012 - Primo firmatario: BERNARDINI RITA Gruppo: Partito Democratico Data firma: 07/08/2012 - co-firmatari dell'atto: BELTRANDI MARCO, FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA, MECACCI MATTEO, TURCO MAURIZIO, ZAMPARUTTI ELISABETTA, CAPANO CINZIA (Partito Democratico); FARINA RENATO (Popolo della Libertà).

2 l’Ordine del giorno n.9/5389/53 impegna il Governo anche <>.